martedì 15 ottobre 2013

Sciogliere nodi!

La statua della Madonna di Fatima ha visitato Roma. Papa Francesco l'ha salutata con il suo stile semplice e devoto: sabato sera in Piazza San Pietro le ha donato un rosario, poi ha toccato la statua e si è fatto il segno della croce. Il gesto della gente semplice che prega e dialoga coi santi anche nelle nostre chiese. 
Occorrerà tornare sulla devozione mariana del Papa e su queste giornate. Dopo una visita personale al papa emerito, la statua è giunta in piazza. Qui ha sostato nel punto in cui Giovanni Paolo II fu ferito dalla pallottola che oggi è incastonata nella corona della Vergine. In una manciata di ore, un 'bignami'  della storia del Novecento e del presente della Chiesa. 

Dio entra davvero nella storia. "La fede nel Figlio di Dio fatto uomo in Gesù di Nazaret non ci separa dalla realtà, ma ci permette di cogliere il suo significato più profondo, di scoprire quanto Dio ama questo mondo e lo orienta incessantemente verso di sé; e questo porta il cristiano a impegnarsi, a vivere in modo ancora più intenso il cammino sulla terra" (Lumen Fidei, 18).

Si tratta, in sintesi, di dare carne alla nostra fede.
Nella catechesi al termine della via Matris lo spiegava bene Papa Francesco:
Maria ha concepito Gesù nella fede e poi nella carne, quando ha detto “sì” all’annuncio che Dio le ha rivolto mediante l’Angelo. Che cosa vuol dire questo? Che Dio non ha voluto farsi uomo ignorando la nostra libertà, ha voluto passare attraverso il libero assenso di Maria, attraverso il suo “sì”. Le ha chiesto: “Sei disposta a questo?”. E lei ha detto: “Sì”.

Ma quello che è avvenuto nella Vergine Madre in modo unico, accade a livello spirituale anche in noi quando accogliamo la Parola di Dio con cuore buono e sincero e la mettiamo in pratica. Succede come se Dio prendesse carne in noi, Egli viene ad abitare in noi, perché prende dimora in coloro che lo amano e osservano la sua Parola. Non è facile capire questo, ma, sì, è facile sentirlo nel cuore.

Pensiamo che l’incarnazione di Gesù sia un fatto solo del passato, che non ci coinvolge personalmente? Credere in Gesù significa offrirgli la nostra carne, con l’umiltà e il coraggio di Maria, perché Lui possa continuare ad abitare in mezzo agli uomini; significa offrirgli le nostre mani per accarezzare i piccoli e i poveri; i nostri piedi per camminare incontro ai fratelli; le nostre braccia per sostenere chi è debole e lavorare nella vigna del Signore; la nostra mente per pensare e fare progetti alla luce del Vangelo; e, soprattutto, offrire il nostro cuore per amare e prendere decisioni secondo la volontà di Dio. Tutto questo avviene grazie all’azione dello Spirito Santo. E così, siamo gli strumenti di Dio perché Gesù agisca nel mondo attraverso di noi.

Il Papa traccia la via. Lo abbiamo visto tutti ad Assisi, nelle carezze e nei gesti di tenerezza che ha avuto per i disabili dell'istituto Seraphicum. Chiama anche noi a seguire l'umiltà e il coraggio di Maria.

Beata Maria Vergine di Fatima,
con rinnovata gratitudine per la tua presenza materna
uniamo la nostra voce a quella di tutte le generazioni
che ti dicono beata.

Celebriamo in te le grandi opere di Dio,
che mai si stanca di chinarsi con misericordia sull’umanità,
afflitta dal male e ferita dal peccato,
per guarirla e per salvarla.

Accogli con benevolenza di Madre
l’atto di affidamento che oggi facciamo con fiducia,
dinanzi a questa tua immagine a noi tanto cara.
Siamo certi che ognuno di noi è prezioso ai tuoi occhi
e che nulla ti è estraneo di tutto ciò che abita nei nostri cuori.

Ci lasciamo raggiungere dal tuo dolcissimo sguardo
e riceviamo la consolante carezza del tuo sorriso.
Custodisci la nostra vita fra le tue braccia:
benedici e rafforza ogni desiderio di bene;
ravviva e alimenta la fede;
sostieni e illumina la speranza;
suscita e anima la carità;
guida tutti noi nel cammino della santità.

Insegnaci il tuo stesso amore di predilezione
per i piccoli e i poveri,
per gli esclusi e i sofferenti,
per i peccatori e gli smarriti di cuore:
raduna tutti sotto la tua protezione
e tutti consegna al tuo diletto Figlio, il Signore nostro Gesù.
Amen.

lunedì 19 agosto 2013

(quasi) In diretta da Rio!

Qui di seguito i link ai nostri servizi da Rio de Janeiro!
Grazie all'ottimo lavoro di Daniel Giusti! 
Vice-capo Lullo conferma.


Cronaca del nostro arrivo e interviste a pellegrini..



Sberci ed entusiamo per l'apertura ufficiale della GMG!


Il Saluto del Cardinale Bagnasco ai pellegrini dell'Associazione e il clima scoppiettante della Festa degli Italiani


Finalmente Francesco! Arriva il Papa!


La Via Crucis a Copacabana..


Veglia e Messa Finale.


Buona visione e a presto..con nuovi servizi, immagini e testimonianze da Rio!

giovedì 1 agosto 2013

Qui Rio. Il cuore di Pistoia batte qui!

Il pellegrinaggio dell’Associazione Maria Madre Nostra alla GMG di Rio de Janeiro

«Che fai?»
«Dico le preghiere prima di dormire..le vuoi dire anche tu?»
«Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo..»
«Ah, guidi tu?»


Così Fabio guida la mia compieta e, forse ripensando alla messa, attacca correttamente con l’atto penitenziale. Dopo un ave, un padre e un salveregina va a chiudere con «Regina Cristiani, prega per noi». Quindi, fresco del ricordo della veglia appena conclusa termina con un inaspettato «Papa Francesco …prega per noi!»
Fabio imita, ma soprattutto  ripropone creativamente situazioni e atteggiamenti, con l’estro e la simpatia che lo contraddistinguono. Ma c’è di più: nella libertà di chi è semplice soffia largamente lo Spirito.  Così nei pellegrini dell’Associazione Maria Madre Nostra, nasce la consapevolezza di essere stati guidati da Fabio e dai ragazzi come lui a vivere in pienezza i giorni della GMG di Rio. In totale 20 disabili su 42, praticamente un rapporto uno a uno che ha reso ancora più intensa la partecipazione.
 
Insomma, anche Pistoia ha piantato la propria bandiera sulla spiaggia di Copacabana (che i brasiliani pronunciano con una stupenda modulazione tipo Cöopacabäana). I giovani di Vignole e Carmignano non siamo riusciti a incrociarli, ma tra le palme di cocco e il bagnasciuga abbiamo rintracciato due giovani di Montemurlo partiti con i padri Betharramiti, poi altri toscani: viareggini accompagnati da due suore minime del Sacro Cuore, aretini, pisani del Cammino Neocatecumenale, fiorentini entusiasti per il gemellaggio con la missione diocesana a Salvador Bahia. Tanti e rumorosi gli italiani nonostante le difficoltà del viaggio. Tra i disabili, gli amici dell’Unitalsi e anche tre motivatissimi giovani ipovedenti del Movimento Apostolico Ciechi.

Per ovvie ragioni la nostra GMG, resa possibile grazia all’aiuto di numerosi amici e benefattori, ha avuto un formato un po’ più ridotto e agevolato, ma non meno completo.

Sbarchiamo a Rio in un torrido clima tropicale domenica 21 luglio e non manchiamo le soste nei luoghi simbolo della metropoli come il Cristo sulla cima del Corcovado o l’ascesa in teleferica sul Pan di Zucchero, il monte (il morro, dicono i brasiliani) che si staglia di fronte alla spiaggia di Copacabana. Ci accompagna, con tempismo fantozziano, una densa nuvolaglia che nasconde il panorama spettacolare intravisto da quei luoghi, ma l’escursione è sufficiente per entrare in pieno nel clima di festa sprigionato dai giovani pellegrini. Sulle cime panoramiche il paesaggio stupefacente è quello umano: danze maori, cantilene dagli atolli del pacifico, girotondi latinos, qualche giovane da Buenos Aires porta in trionfo le foto della cresima amministrata dal vescovo Bergoglio.  Noi in festa con loro, attraverso il linguaggio della gioia e della dolcezza (come quella di Alessandrina, Luca, Sara) che attraverso la disabilità non conosce frontiere, in un crescendo di entusiasmo che ha attraversato le avenidas di Rio nei giorni successivi. La musica e il ballo, dalla samba carnevalizia che ha seguito con esuberanza brasileira l’adorazione delle veglia, al flash mob collettivo sulla spiaggia, hanno scandito le giornate di Rio, ma non ne hanno affatto annacquato lo spessore spirituale.


All’avvio vero e proprio della GMG, nonostante la discesa in picchiata delle temperature e l’avvio di una pioggerellina insistente, la sorpresa più bella è l’accoglienza calorosa dei volontari di Casa Italia, il quartier generale dei pellegrini italiani a Rio. Una presenza familiare, ma soprattutto attenta ai bisogni di tutti: una squadra motivata e capace, a cominciare, per ordine di importanza e ‘misure’ da don Michele Falabretti, responsabile del Servizio Nazionale di PG e dal suo vice don Domenico (Mimmo) Beneventi, fino a tutti i volontari che si prodigano per rendere più facile la nostra partecipazione. Suor Veronica Donatello, responsabile dell’assistenza ai pellegrini disabili, è il nostro simpatico e sorridente angelo custode. Grazie a lei il nostro gruppo, il più consistente – dall’Italia e non solo-  per numero di disabili, è guidato con competenza e generosa disponibilità in ogni questione logistica e non solo.
C’è un’attrattiva che sprigiona dell’accoglienza, ma soprattutto dalla partecipazione attiva e gioiosa dei nostri ragazzi che impressiona tutti. Anche il Cardinale Angelo Bagnasco in occasione della prima catechesi  si intrattiene a salutare uno per uno i nostri giovani pellegrini e con lui, nei giorni a seguire, gli altri vescovi chiamati a guidare la riflessione e la preghiera degli  italiani a Rio. Mons. Giovanni d’Ercole, vescovo ausiliare de l’Aquila, che era lì con un gruppo di giovani della sua diocesi, ci è venuto anche a cercare durante la veglia nell’affollatissima spiaggia di Copacabana.



Sui giornali non affiora spesso il percorso bello e intenso delle catechesi, ma si tratta di un momento di chiesa autentico. Si fa, in primis, l’esperienza di una chiesa che accoglie: per noi la parrocchia di San Paolo Apostolo retta dai padre Barnabiti, ricca di umanità, generosa e partecipe nella preghiera, animata da una devozione semplice ed effusiva che spiega molto del contatto fisico che anche il papa latinoamericano ha dimostrato più volte toccando l’immagine della Vergine. C’è poi la chiesa che è accolta, coinvolta in tutti i suoi livelli, verticali e orizzontali, sperimentata nell’espressione più bella del ‘magistero’ e dell’ascolto reciproco, ma anche nella preghiera, nella riflessione personale e comunitaria, nella conversione che scaturisce dal sacramento della riconciliazione e dell’eucarestia. È l’allenamento intensivo che rende feconda la GMG e di cui ha parlato papa Francesco durante la veglia. Un allenamento fatto di ‘preghiera, sacramenti, amore fraterno’ che promette sorprese (“Gesù ci offre qualcosa di superiore della Coppa del Mondo!”). Un’occasione in più per essere trascinati nella preghiera e nell’ascolto dello Spirito: Federico, Serena, Fabiana, Elena pregano, pongono domande, ascoltano con attenzione. Indirettamente invitano ad aprire senza paura le porte dell’anima ed a mettere a fuoco le disabilità della mente e del cuore che misurano, in ultima analisi, la vera distanza con Dio. Una forte testimonianza per noi pistoiesi che accanto a loro trascorriamo ogni momento, ma anche un segno per tutti. «La gioventù è la finestra attraverso la quale il futuro entra nel mondo .. la nostra generazione si rivelerà all’altezza della promessa che c’è in ogni giovane quando saprà offrirgli spazio» (Papa Francesco, Cerimonia di benvenuto a Rio de Janeiro, 22 luglio). Nei ragazzi con disabilità risplende un futuro diverso e luminosissimo che parla già di un altro cielo. Le ‘periferie esistenziali’ d’altra parte, non sono affatto lontane. A Rio bastano pochi passi per arrivare dalla spiaggia di Copacabana alla favela di Cantagalo arroccata su Morro do Pavão. Per me, a Rio, è sufficiente gettare uno sguardo sul palazzo dirimpetto all’hotel per osservare l’esistenza solitaria e chiusa in gesti ripetuti di un giovane autistico, ingabbiato dalle serrande del proprio appartamento mentre milioni di giovani si riversano nella spiaggia e nelle strade sottostanti. Accanto alla presenza amichevole e gioiosa dei giovani arrivati per la GMG risuonano ancora più meschine e ridicole le avvertenze affisse sugli ascensori di Rio: «È vietata ogni forma di discriminazione nell’accesso agli ascensori esistenti in questo comune, in virtù di razza, sesso, colore, origine, condizione sociale, età, sembianze o presenza di handicap e malattia.. ».


Arriva il papa e il passaggio per l’Avenida Atlantica (che i carioca pronunciano con una ti finale sicula tipo atlantcica), il lungomare di Copacabana si fa interminabile: il papa sosta quasi ogni metro, saluta personalmente i pellegrini, stringe le mani, abbraccia i bambini, si scambia lo zucchetto: c’è n’è per tutti, quasi a voler intrattenere un dialogo personale con ognuno dei presenti. Un dialogo, commentavamo tra noi, che si ripete anche nei discorsi ai giovani e che ricorda quello memorabile di Giovanni Paolo II nella spianata di Tor Vergata. E’ per il papa beato, infatti, la prima parola, quando Francesco ricorda la GMG del 1987 di Buenos Aires, la prima – guarda un po’ – fuori Italia. Non manca il saluto  a ‘nonno’ Ratzinger-Benedetto, scandito da un fragoroso applauso della folla. Il papa avvia il discorso e si chiama in causa personalmente: «Perché la mia fede non sia triste sono venuto qui per essere contagiato  dall’entusiasmo di tutti voi!». Eppure è il papa ad entusiasmare: coinvolge tutti passando di colpo dal suo tipico tono di lettura piano e dimesso a quello vibrante e accorato di domanda : «cari amici la fede è rivoluzionaria e io oggi ti chiedo: sei disposto, sei disposta a entrare in quest’onda rivoluzionaria della fede?» Il papa tocca corde sensibili, parla di giovani fragili e riempiti, usa immagini semplici, come quella del sale e dell’olio che danno sapore per dire che solo con Cristo e con l’amore la vita diventa saporita. Ma ancora più sferzante è l’interrogativo proposto a commento della via Crucis: «Dimmi: sei uno di quelli che si lavano le mani, che fa il finto tonto e guarda dall’altra parte? O sei come il Cireneo, che aiuta Gesù a portare quel legno pesante, come Maria e le altre donne..» . Parole che attraversano il cuore come coltellate. Sulla spiaggia i giovani ascoltano in un silenzio stupito e raccolto. È uno dei momenti più forti della GMG. Quando i giovani nell’ultima stazione levano la croce pellegrina davanti al papa, Francesco ricorda che quella croce che «ha attraversato i più svariati mondi dell’esistenza umana..è  quasi impregnata delle situazioni di vita dei tanti giovani che l’hanno vista  e l’hanno portata». In fondo alla spiaggia, accanto a tante altre più nascoste ma non meno pesanti, fanno eco le croci dei ragazzi del nostro gruppo e delle loro famiglie. Altre croci pellegrine, levate sulla sabbia, per le quali è ancora più vera l’altra parola del papa: nessuno può toccare la Sua croce «senza portare qualcosa della croce di Gesù nella propria vita .. la croce di Cristo invita anche a lasciarci contagiare da questo amore».


Il settore per disabili, collocato quasi dirimpetto al palco e che abbiamo sperimentato, sotto una pioggia battente, soltanto durante la messa di apertura, è comodo e ampio ma irraggiungibile per l’impraticabilità delle strade congestionate di mezzi e di giovani. Così nei giorni successivi, sulla spiaggia di Copacabana tocchiamo con mano il contagio d’amore che sprigiona dalla croce: tutti ci  danno una mano e fanno strada. Ma ancora più bello è misurare la curiosità, l’attenzione, la partecipazione al canto e al ballo che sprigionano da Marco, Beatrice, Manuel, Alessandra, ‘Fabione’, Romina e tutti gli altri. Qualche pellegrino brasiliano si ferma sorridendo commosso: «mia cognata era come una di loro» e poi saluta tutti con trasporto. Per Francesco la veglia è galeotta e ne approfitta per farsi coccolare da una pellegrina argentina. Due giovani carioca, durante la messa finale pregano con noi uno stupendo Padre Nostro, altri interrompono la corsa o la biciclettata per osservare la nostra preghiera dei vespri lungo la spiaggia. Chiara, invece, ci da una lezione di preghiera durante l’adorazione eucaristica a conclusione della veglia.


Già, l’adorazione eucaristica. Il papa ha appena terminato il suo discorso che i maxischermi allineati sulla spiaggia -il palco, quasi per tutti, è lontanissimo- staccano la diretta e propongono immagini registrate. I giovani sono un po’ disorientati, anche i nostri, che cominciano a sentire la stanchezza della giornata in un francobollo di spiaggia. C’è già che incomincia ad alzarsi e ripartire -per dove poi, visto che non ci sono posti in cui dormire se non sulla sabbia e sulla strada?-. D’un tratto sul maxischermo appare il papa inginocchiato davanti un mega-ostensorio. Trenta secondi per prendere coscienza che è il momento delle preghiera e di colpo sulla spiaggia si avverte soltanto lo sciacquio dei cavalloni. Questo dialogo silenzioso con Gesù è il cuore della GMG, di ogni GMG. In quel momento per quanto personale possa prendere forma la preghiera è impossibile non associarsi a quella degli amici e dei pellegrini accanto a te. Davanti a me due giovani fidanzati pregano abbracciati, anche i più esuberanti brasiliani che si erano scavati nella sabbia un comodo sofà a sei posti ora stanno assorti in ginocchio, non meno composti del manipolo di norvegesi allineati fin quasi sulla battigia. Sono i frutti dello Spirito, quello che si invoca nella Messa perché diventiamo ‘un solo corpo e un solo Spirito’.



Nella notte tropicale si stende a perdita d’occhio il campo della fede. Il campus fidei di Guaratiba, a km e km da Rio, improvvida location per la due giorni finale, impaludata da qualche giorno di pioggia e visitata per l’occasione, dicono, da qualche coccodrillo, è ormai sostituito da una gigantesca comunità in preghiera. «il Signore oggi vi chiama! Non al mucchio! A te, a te, a te, a ciascuno. Ascoltate nel cuore quello che vi dice!». Anche il Papa e il Vangelo, che è il testo più realista che ci sia, sanno che quando, quanto e come il seme produrrà frutto è difficile dirlo. È la scommessa di ogni GMG, che resta comunque un momento di semina speciale. Sul palco due novelli Francesco e Chiara d’Assisi, accompagnati da altri giovani costruiscono letteralmente una piccola chiesa. Una scena emblematica, forse così didascalica da far sorridere. Ma tutto resta compreso nel dialogo tra il papa e i giovani : «Siamo parte della Chiesa, anzi, diventiamo costruttori della Chiesa e protagonisti della storia. Ragazzi e ragazze, per favore: non mettetevi nella ‘coda’ della storia. Siate protagonisti. Giocate in attacco! Calciate in avanti..».
Evidentemente al tifoso del San Lorenzo le metafore calcistiche riescono bene. Ben si adattano anche al pellegrinaggio della nostra Associazione, dove tutto ha funzionato per un ottimo gioco di squadra. Nella consapevolezza che il salto tra l’associazione e la comunità, tra il servizio e l’amicizia, tra la disponibilità e lo stupore sono segni dello Spirito. E poi alla squadra non è mancato il super-capitano don Diego Pancaldo che ha pianificato, guidato nella preghiera e nel dettaglio tenendo tutto sotto controllo. Alla fine tutti contenti. C’è già, come Giorgio e Giovanni, chi si da appuntamento alla prossima: Ludovico auspica Miami o le coste della California, ma nel 2016, come annunciato, sarà il turno della più continentale Cracovia.
 La conclusione della GMG è siglata dalle ‘tre parole’ di Papa Francesco: Andate, senza paura, per servire. Parole impegnative che chiedono l’impegno di una vita intera, ma che sentiamo nostre. In qualche modo ci hanno accompagnato lungo il pellegrinaggio e forse possono anche sintetizzarlo. Una presenza -ne abbiamo preso giorno dopo giorno più coscienza- che è di per sé testimonianza, non facile, ma senza paura e contro ogni limite, per servire e imparare a farlo sempre meglio. Una presenza capace di generare il sorriso e diffondere gioia e novità: Toda joia, toda beleza!


mercoledì 1 maggio 2013

"In cammino con voi, da oggi!". Con Papa Francesco alla GMG!


Rio si avvicina! La prima GMG di Papa Francesco è già carica delle aspettative di credenti e indifferenti. Che cosa dirà il Papa? Con quali gesti accompagnerà il suo apostolato?  Nel 2013, dicono dal Vaticano, il papa si sposterà da Roma soltanto per la Gmg ed una visita ad Assisi: un motivo in più per non mancare all’appuntamento!  Lo stile di Papa Francesco continua a stupirci, e sembra aver dettato un deciso cambiamento di programma per i suoi giorni brasiliani.
Ultimamente Papa Francesco si è rivolto ai giovani in più occasioni con parole che non possiamo trascurare nella nostra preparazione alla GMG. Qualche giorno fa insieme ai giovani di una parrocchia romana sono stato in Piazza San Pietro per assistere al Regina Coeli. La Piazza era stracolma, ma molto attenta alle parole del Papa. Attenta ma quasi imbambolata di fronte al piglio diretto e dialogante del papa:
«Ci sono molti giovani oggi, qui in Piazza. Siete tanti voi, no? Si vede… Ecco! Siete tanti giovani oggi qui in Piazza.  Vorrei chiedervi: qualche volta avete sentito la voce del Signore che attraverso un desiderio, un’inquietudine, vi invitava a seguirlo più da vicino? L’avete sentito?»

Quando le domande si fanno serie anche i presenti trepidano un po’ e difatti il papa non manca di farlo notare:

« Non sento. Ecco… Avete avuto voglia di essere apostoli di Gesù? La giovinezza bisogna metterla in gioco per i grandi ideali. Pensate questo voi? Siete d’accordo? Domanda a Gesù che cosa vuole da te e sii coraggioso! Sii coraggiosa! Domandaglielo! » (REGINA COELI, Piazza San Pietro, IV Domenica di Pasqua, 21 aprile 2013)

Non capita spesso di sentirsi rivolgere domande del genere, mentre capita sempre più spesso di esitare a trovare risposte (a  14, come a 18, come a 25 o 30 anni!), intimoriti dalle difficoltà o trattenuti dalle fragilità. Mi ritorna subito in mente l’appello con cui Giovanni Paolo II apriva la stupenda Novo Millennio Ineunte: “Duc in altum! Prendi il largo!
..Duc in altum! Questa parola risuona oggi per noi, e ci invita a fare memoria grata del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirci con fiducia al futuro: « Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre! » (Eb 13,8).


Gesù è il messaggio, l’origine e il fine dell’apostolato a cui invita la GMG 2013: «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (cfr Mt28,19). La nostra fede può apparirci immatura o piuttosto traballante. Anche se la nostra vita ecclesiale resta piuttosto superficiale o altalenante non dobbiamo tentennare: Cristo ci invita e ci aspetta a braccia aperte ..come quelle della grande statua con il Cristo Redentore di Rio de Janeiro! Proviamo a fidarci di lui! Il Brasile è lontano e il viaggio impegnativo. Non saranno moltissimi i pellegrini italiani, ben pochi anche i toscani. La nostra partecipazione è già testimonianza di gioia e speranza  per le nostre famiglie, per gli amici, per tutta la nostra città. Insieme alla Comunità che resta a casa, davanti agli amici che non capiscono troppo questo modo alternativo di spendere l’estate presentiamo già il sorriso e l’entusiasmo per un’esperienza indimenticabile!

«Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti! E in questo momento viene il nemico, viene il diavolo, mascherato da angelo tante volte, e insidiosamente ci dice la sua parola. Non ascoltatelo! Seguiamo Gesù! Noi accompagniamo, seguiamo Gesù, ma soprattutto sappiamo che Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle: qui sta la nostra gioia, la speranza che dobbiamo portare in questo nostro mondo. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù».

La nostra testimonianza è ancora più bella perché porta il segno della croce! E’ la croce che accompagna la famiglie che vivono la disabilità e con essa la pena di un presente complicato e di un futuro pieno di ansia e incertezze. Insieme alla croce però, possiamo testimoniare una gioia che  supera ogni pregiudizio, confonde i ricchi e i sapienti e convince con l’amore!

«Con Cristo il cuore non invecchia mai! Però tutti noi lo sappiamo e voi lo sapete bene che il Re che seguiamo e che ci accompagna è molto speciale: è un Re che ama fino alla croce e che ci insegna a servire, ad amare. E voi non avete vergogna della sua Croce! Anzi, la abbracciate, perché avete capito che è nel dono di sé, nel dono di sé, nell’uscire da se stessi, che si ha la vera gioia e che con l’amore di Dio Lui ha vinto il male. Voi portate la Croce pellegrina attraverso tutti i continenti, per le strade del mondo! La portate rispondendo all’invito di Gesù «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (cfr Mt28,19), che è il tema della Giornata della Gioventù di quest’anno. La portate per dire a tutti che sulla croce Gesù ha abbattuto il muro dell’inimicizia, che separa gli uomini e i popoli, e ha portato la riconciliazione e la pace. Cari amici, anch’io mi metto in cammino con voi, da oggi, sulle orme del beato Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ormai siamo vicini alla prossima tappa di questo grande pellegrinaggio della Croce. Guardo con gioia al prossimo luglio, a Rio de Janeiro! Vi do appuntamento in quella grande città del Brasile! Preparatevi bene, soprattutto spiritualmente nelle vostre comunità, perché quell’Incontro sia un segno di fede per il mondo intero. I giovani devono dire al mondo: è buono seguire Gesù; è buono andare con Gesù; è buono il messaggio di Gesù; è buono uscire da se stessi, alle periferie del mondo e dell’esistenza per portare Gesù!» (OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO, Piazza San Pietro, XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù, Domenica delle Palme, 24 marzo 2013).

Se staremo con gli orecchi ben attenti e il cuore aperto nella preghiera e nel servizio il signore indicherà a ognuno di noi la giusta “periferia”, il cammino che realizza la vita e da pienezza di senso ai nostri giorni, alle nostre passioni e alle nostre amicizie. La comunione e il servizio richiedono impegno..ma è una fatica che il Signore ripaga con il centuplo! Non è quello che sperimenta chi vive il servizio al Soggiorno Estivo di Massa? Non è la gioia che si sperimenta accanto ai ragazzi del Centro? Non è la festa che si vive nella preghiera con loro?

«Sentite bene, giovani: andare controcorrente; questo fa bene al cuore, ma ci vuole il coraggio per andare controcorrente e Lui ci dà questo coraggio! Non ci sono difficoltà, tribolazioni, incomprensioni che ci devono far paura se rimaniamo uniti a Dio come i tralci sono uniti alla vite, se non perdiamo l’amicizia con Lui, se gli facciamo sempre più spazio nella nostra vita. Questo anche e soprattutto se ci sentiamo poveri, deboli, peccatori, perché Dio dona forza alla nostra debolezza, ricchezza alla nostra povertà, conversione e perdono al nostro peccato. E’ tanto misericordioso il Signore: sempre, se andiamo da Lui, ci perdona. Abbiamo fiducia nell’azione di Dio! Con Lui possiamo fare cose grandi; ci farà sentire la gioia di essere suoi discepoli, suoi testimoni. Scommettete sui grandi ideali, sulle cose grandi. Noi cristiani non siamo scelti dal Signore per cosine piccole, andate sempre al di là, verso le cose grandi. Giocate la vita per grandi ideali, giovani!  (SANTA MESSA E CRESIMA, Piazza San Pietro, V Domenica di Pasqua, 28 aprile 2013)

..E poi vorrei rivolgermi in particolare a voi ragazzi e ragazze a voi giovani: impegnatevi nel vostro dovere quotidiano, nello studio, nel lavoro, nei rapporti di amicizia, nell’aiuto verso gli altri; il vostro avvenire dipende anche da come sapete vivere questi preziosi anni della vita. Non abbiate paura dell’impegno, del sacrificio e non guardate con paura al futuro; mantenete viva la speranza: c’è sempre una luce all’orizzonte. (UDIENZA GENERALE, Piazza San Pietro, Mercoledì, 1° maggio 2013)».

venerdì 1 marzo 2013

Chiesa e Primato di Dio. Antologia minima di Benedetto XVI.


Mentre il papa sorvolava Roma nella commozione generale il professore apriva il seminario biblico con una barzelletta. Pronunciata in inglese da un tedesco assumeva toni piuttosto stranianti, ma la riciclo comunque perché, dopotutto, mi sembrava azzeccata.

Karl Rahner, Joseph Ratzinger ed Hans Küng (per chi non lo sapesse Rahner, gesuita, è stato uno dei più importanti teologi del ‘900, Küng, teologo anche lui e coetaneo di Ratzinger – lo chiamò ad insegnare a Tubinga - ha poi molto criticato la chiesa Cattolica fino a proporre tesi non ortodosse) vanno in pellegrinaggio in Terra Santa. Giunti in Galilea, davanti al Lago di Tiberiade Rahner propone audacemente: “Forza, facciamo come Gesù! Camminiamo sulle acque!”. Dopo qualche esitazione Rahner è invitato a provare per primo. Parte e.. attraversa il lago avanti e indietro! Poi tocca a Ratzinger che senza troppa preoccupazione parte e attraversa il lago avanti e indietro. Alla fine tocca a Küng. Parte e dopo qualche passo ..affonda nell’acqua! Gli altri due restano subito stupiti, poi Rahner rivolgendosi a Ratzinger dice: “ma come? Non gli avevi detto dov’erano le pietre sotto il pelo dell’acqua?” e Ratzinger: “Quali pietre?”

       In questi otto anni non l’abbiamo visto camminare sulle acque ma, saldo nella fede, Papa Benedetto ha guidato la Chiesa attraverso momenti non facili. L’immagine del mare in cui la barca della Chiesa rischia di affondare ha accompagnato molti dei suoi discorsi, a partire da quella memorabile Via Crucis del 2005, quando Papa Wojtyla, ormai allo stremo e aggrappato alla croce, seguì dal suo appartamento il commento e le preghiere del Cardinale Ratzinger:

Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa: anche all’interno di essa, Adamo cade sempre di nuovo”.

Le cadute di Adamo non sono mancate: alcune, più recenti, particolarmente vistose. L’ottobre scorso, quando una grande fiaccolata ha ricordato il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Benedetto è tornato sulla stessa immagine:

“Abbiamo visto che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e qualche volta abbiamo pensato: «il Signore dorme e ci ha dimenticato .. Abbiamo visto che il Signore non ci dimentica... Cristo vive, è con noi anche oggi, e possiamo essere felici anche oggi perché la sua bontà non si spegne; è forte anche oggi!”.

Anche nel 2010 quando chiudeva l’Anno dedicato al Sacerdozio il buio e la tempesta avevano agitato le acque:

proprio in questo anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, sono venuti alla luce i peccati di sacerdoti .. Se l’Anno Sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende. Ma si trattava per noi proprio del contrario: il diventare grati per il dono di Dio, dono che si nasconde “in vasi di creta” e che sempre di nuovo, attraverso tutta la debolezza umana, rende concreto in questo mondo il suo amore (11 giugno 2010).

L’ultima udienza di Papa Benedetto ha fatto sintesi, attraverso parole semplici e commosse, di due aspetti chiave del pontificato: il primato di Dio e la riflessione sulla Chiesa.
Oggi possiamo dirlo senza timore di smentita: Pietro ha confermato i fratelli, indicando con insistenza il primato di Dio. Nella Chiesa - lo ha ribadito spesso- non è possibile adottare la logica del potere o del successo. Soltanto nella logica del servizio,  del “cuore che vede”, possiamo realizzare la vocazione cui ci chiama il Signore. E’ Lui il protagonista e se è Lui che chiama donerà anche la forza di compiere ciò che chiede:

Piazza San Pietro durante l'ultima udienza di Papa Benedetto XVI
“Quando, il 19 aprile di quasi otto anni fa, ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto la ferma certezza che mi ha sempre accompagnato: questa certezza della vita della Chiesa dalla Parola di Dio. In quel momento, come ho già espresso più volte, le parole che sono risuonate nel mio cuore sono state: Signore, perché mi chiedi questo e che cosa mi chiedi? E’ un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai, anche con tutte le mie debolezze. E otto anni dopo posso dire che il Signore mi ha guidato, mi è stato vicino, ho potuto percepire quotidianamente la sua presenza. E’ stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare”.

Il primato di Dio non si traduce in cieca sottomissione. Si tratta, piuttosto, di entrare in un rapporto intimo e profondo con Dio, lasciarsi catturare da una relazione originaria, che realizza l’uomo e lo rende felice, fin quasi a renderlo semplice e fiducioso come un bambino. Nella piazza gremita per l’ultima udienza la commozione era palpabile. Il papa teologo si è mostrato ancora di più il padre, anzi, il nonno che apre il cuore ai nipoti:

"Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno, anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano  In una bella preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano…»”.

E’ la preghiera che ci ripeteva la zia quando, piccini, ci insegnava a pregare.
A Madrid, nella memorabile veglia travagliata da vento e acquazzoni, il Papa indicava ai giovani l’essenziale, il rapporto con Dio che cambia e realizza pienamente ogni esistenza:

“Sì, cari amici, Dio ci ama. Questa è la grande verità della nostra vita e che dà senso a tutto il resto. Non siamo frutto del caso o dell’irrazionalità, ma all’origine della nostra esistenza c’è un progetto d’amore di Dio. Rimanere nel suo amore significa quindi vivere radicati nella fede, perché la fede non è la semplice accettazione di alcune verità astratte, bensì una relazione intima con Cristo .. Se rimarrete nell’amore di Cristo, radicati nella fede, incontrerete, anche in mezzo a contrarietà e sofferenze, la fonte della gioia e dell’allegria. La fede non si oppone ai vostri ideali più alti, al contrario, li eleva e li perfeziona. Cari giovani, non conformatevi con qualcosa che sia meno della Verità e dell’Amore, non conformatevi con qualcuno che sia meno di Cristo”.

Chi mette Dio al primo posto sa di non amputare l’umano. La ragione stessa, illuminata dalla verità si affaccia su orizzonti infiniti. Un altro grande capitolo del pontificato di Benedetto è l’impegno profuso a dimostrare la ragionevolezza del Cristianesimo ed a rilanciare il dialogo con il mondo della cultura in un tempo di crisi e ripiegamento. Una preoccupazione particolarmente legata al mondo occidentale e alla cultura di riferimento del papa, ma cruciale per il mondo intero. Nell’omelia per l’apertura dell’anno della fede Benedetto XVI tornava a parlare della crisi del nostro tempo. “In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale”: l’antidoto più efficace è “La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo”. Il primato di Dio si traduce in un’espressione ormai celebre del suo pontificato:

“Quaerere Deum – cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”  (Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, Parigi, 12 settembre 2008).

Nella sua Parola Dio si è comunicato all’uomo, si lascia trovare. La sua esortazione post-sinodale Verbum Domini, ad esempio, dovrà essere ancora a lungo meditata. Non è però il momento di sintesi esaustive sul magistero di Benedetto, mi accontento qui di qualche citazione che ricordo in modo speciale e di segnalare le parole della sua ultima udienza:

“la Parola di verità del Vangelo è la forza della Chiesa, è la sua vita. Il Vangelo purifica e rinnova, porta frutto, dovunque la comunità dei credenti lo ascolta e accoglie la grazia di Dio nella verità e nella carità. Questa è la mia fiducia, questa è la mia gioia”.

Il riferimento al primato di Dio assumeva toni programmatici fin dalla prima omelia, per l’inizio del pontificato, il 24 aprile 2005:

“E’ proprio così – nella missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E’ proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui. Il compito del pastore, del pescatore di uomini può spesso apparire faticoso. Ma è bello e grande, perché in definitiva è un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che vuol fare il suo ingresso nel mondo”.

Ma il passaggio più toccante dell’ultima udienza propone una riflessione sul mistero della Chiesa che ribalta ogni chiacchiera sulle logiche di potere e sgombra il campo dalle insistenti accuse sui complotti e le dinamiche da apparato della Chiesa visibile.

“E’ vero che ricevo lettere dai grandi del mondo – dai Capi di Stato, dai Capi religiosi, dai rappresentanti del mondo della cultura eccetera. Ma ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione, un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino. Ma vediamo come la Chiesa è viva oggi!”

A Cuatro Vientos, durante la veglia con i Giovani di cui sopra, Benedetto parlava ancora della Chiesa:

“Non si può seguire Gesù da soli. Chi cede alla tentazione di andare «per conto suo» o di vivere la fede secondo la mentalità individualista, che predomina nella società, corre il rischio di non incontrare mai Gesù Cristo, o di finire seguendo un’immagine falsa di Lui.
Aver fede significa appoggiarsi sulla fede dei tuoi fratelli, e che la tua fede serva allo stesso modo da appoggio per quella degli altri. Vi chiedo, cari amici, di amare la Chiesa, che vi ha generati alla fede, che vi ha aiutato a conoscere meglio Cristo, che vi ha fatto scoprire la bellezza del suo amore”.

L’anno precedente, ad Erfurt, (24 settembre 2011) in occasione del suo ultimo viaggio in Germania lo aveva già espresso con chiarezza:

“La fede è sempre anche essenzialmente un credere insieme con gli altri. Nessuno può credere da solo...Il fatto di poter credere lo devo innanzitutto a Dio che si rivolge a me e, per così dire, “accende” la mia fede. Ma molto concretamente devo la mia fede a coloro che mi sono vicini e che hanno creduto prima di me e credono insieme con me. Questo grande “con”, senza il quale non può esserci alcuna fede personale, è la Chiesa”.

Il noi della Chiesa è però accompagnato da testimoni speciali, i santi, gli amici che ci hanno preceduto nella fede tracciando una scia luminosa. Forse non è un caso che Benedetto abbia dedicato le sue udienze ai santi – dagli apostoli, ai padri della chiesa, ai santi del nostro tempo- e alla preghiera dei Salmi.

“Si può criticare molto la Chiesa . Noi lo sappiamo, -diceva rivolgendosi ai giovani durante la Messa conclusiva della GMG di Colonia -  e il Signore stesso ce l'ha detto: essa è una rete con dei pesci buoni e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la zizzania. Papa Giovanni Paolo II, che nei tanti beati e santi ci ha mostrato il volto vero della Chiesa, ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso della storia, a motivo dell'agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto di male. In tal modo fa vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta ad entrare con tutti i nostri difetti e debolezze nella processione dei santi, che con i Magi dell'Oriente ha preso il suo inizio. In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni”.


 La grande famiglia dei santi chiama all’appello. Aderire al Signore e seguirlo con il dono di sé non ci estrania dal mondo, ma ci rende capaci di trasformarlo. La via che conduce alla trasformazione deve passare attraverso le purificazioni della preghiera, vedere in essa il centro gravitazionale della nostra esistenza. Benedetto XVI ha ribadito con insistenza, soprattutto con l’esempio, il valore della liturgia e la sensibilità per il sacro dettato dalla presenza. Ma se sorge la tentazione di parlare di devozione esteriore o si glorifica una tradizione si percorrono piste sbagliate e superficiali. Il primato è di Dio ed esige una conversione profonda e sincera:  


“L’amore di Dio può effondere la sua forza solo quando gli permettiamo di cambiarci dal di dentro. Noi dobbiamo permettergli di penetrare nella dura crosta della nostra indifferenza, della nostra stanchezza spirituale, del nostro cieco conformismo allo spirito di questo nostro tempo. Solo allora possiamo permettergli di accendere la nostra immaginazione e plasmare i nostri desideri più profondi. Ecco perché la preghiera è così importante: la preghiera quotidiana, quella privata nella quiete dei nostri cuori e davanti al Santissimo Sacramento e la preghiera liturgica nel cuore della Chiesa. Essa è pura ricettività della grazia di Dio, amore in azione, comunione con lo Spirito che dimora in noi e ci conduce, attraverso Gesù, nella Chiesa, al nostro Padre celeste. Nella potenza del suo Spirito, Gesù è sempre presente nei nostri cuori, aspettando quietamente che ci disponiamo nel silenzio accanto a Lui per sentire la sua voce, restare nel suo amore e ricevere la “forza che proviene dall’alto”, una forza che ci abilita ad essere sale e luce per il nostro mondo” (Veglia con i giovani, Gmg di Sydney, 2008).

La preghiera non isola, ma apre ad una vita pienamente immersa nella comunione della Chiesa. Per questo la scelta del Papa non si può interpretare come una resa:

Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio”.

La rinuncia al ministero petrino, pronunciata l’11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, pone sotto il sigillo di Maria la decisione del papa, nato il 16 aprile, giorno in cui si celebra Santa Bernadette Soubirous.

“Nel giorno del mio compleanno e del mio Battesimo, il 16 aprile, -precisava il Papa nell’omelia per la Messa in occasione del suo 85° compleanno- la liturgia della Chiesa ha posto tre segnavia che mi indicano dove porta la strada e che mi aiutano a trovarla. In primo luogo, c’è la memoria di santa Bernadette Soubirous, la veggente di Lourdes; poi, c’è uno dei Santi più particolari della storia della Chiesa, Benedetto Giuseppe Labre; e poi, soprattutto, c’è il fatto che questo giorno è sempre immerso nel Mistero Pasquale, nel Mistero della Croce e della Risurrezione, e nell’anno della mia nascita è stato espresso in modo particolare: era il Sabato Santo, il giorno del silenzio di Dio, dell’apparente assenza, della morte di Dio, ma anche il giorno nel quale si annunciava la Risurrezione”.

Può così chiudere questa piccola antologia un passaggio dell’omelia pronunciata il 14 settembre 2008 a Lourdes:

è significativo che, al momento della prima apparizione a Bernadette, Maria introduca il suo incontro col segno della Croce. Più che un semplice segno, è un’iniziazione ai misteri della fede che Bernadette riceve da Maria. Il segno della Croce è in qualche modo la sintesi della nostra fede, perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati. La potenza dell’amore è più forte del male che ci minaccia. E’ questo mistero dell’universalità dell’amore di Dio per gli uomini che Maria è venuta a rivelare qui, a Lourdes. Essa invita tutti gli uomini di buona volontà, tutti coloro che soffrono nel cuore o nel corpo, ad alzare gli occhi verso la Croce di Gesù per trovarvi la sorgente della vita, la sorgente della salvezza”.
Gli alunni del Collegio Capranica salutano il papa che lascia Roma

martedì 5 febbraio 2013

Io credo in Dio

Cari fratelli e sorelle,
in quest’Anno della fede, vorrei iniziare oggi a riflettere con voi sul Credo, cioè sulla solenne professione di fede che accompagna la nostra vita di credenti. Il Credo comincia così: “Io credo in Dio”. E’ un’affermazione fondamentale, apparentemente semplice nella sua essenzialità, ma che apre all’infinito mondo del rapporto con il Signore e con il suo mistero. Credere in Dio implica adesione a Lui, accoglienza della sua Parola e obbedienza gioiosa alla sua rivelazione.
Dove possiamo ascoltare Dio e la sua parola? Fondamentale è la Sacra Scrittura, in cui la Parola di Dio si fa udibile per noi e alimenta la nostra vita di “amici” di Dio. Tutta la Bibbia racconta il rivelarsi di Dio all’umanità; tutta la Bibbia parla di fede e ci insegna la fede narrando una storia in cui Dio porta avanti il suo progetto di redenzione e si fa vicino a noi uomini, attraverso tante luminose figure di persone che credono in Lui e a Lui si affidano, fino alla pienezza della rivelazione nel Signore Gesù.
«La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (11,1). Gli occhi della fede sono dunque capaci di vedere l’invisibile e il cuore del credente può sperare oltre ogni speranza, proprio come Abramo, di cui Paolo dice nella Lettera ai Romani che «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (4,18).
Ed è proprio su Abramo, che vorrei soffermarmi e soffermare la nostra attenzione, perché è lui la prima grande figura di riferimento per parlare di fede in Dio: Abramo il grande patriarca, modello esemplare, padre di tutti i credenti (cfr Rm 4,11-12). La Lettera agli Ebrei lo presenta così: «Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa.» (11,8-10).
Che cosa chiede Dio a questo patriarca? Gli chiede di partire abbandonando la propria terra per andare verso il paese che gli mostrerà, «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gen 12,1). Come avremmo risposto noi a un invito simile? Si tratta, infatti, di una partenza al buio, senza sapere dove Dio lo condurrà; è un cammino che chiede un’obbedienza e una fiducia radicali, a cui solo la fede consente di accedere. Ma il buio dell’ignoto – dove Abramo deve andare – è rischiarato dalla luce di una promessa; Dio aggiunge al comando una parola rassicurante che apre davanti ad Abramo un futuro di vita in pienezza: «Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome… e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,2.3).
La benedizione, nella Sacra Scrittura, è collegata primariamente al dono della vita che viene da Dio e si manifesta innanzitutto nella fecondità, in una vita che si moltiplica, passando di generazione in generazione. E alla benedizione è collegata anche l’esperienza del possesso di una terra, di un luogo stabile in cui vivere e crescere in libertà e sicurezza, temendo Dio e costruendo una società di uomini fedeli all’Alleanza, «regno di sacerdoti e nazione santa» (cfr. Es 19,6).

Eppure Sara, sua moglie, è sterile, non può avere figli; e il paese verso cui Dio lo conduce è lontano dalla sua terra d’origine, è già abitato da altre popolazioni, e non gli apparterrà mai veramente. La terra che Dio dona ad Abramo non gli appartiene, egli è uno straniero e tale resterà sempre, con tutto ciò che questo comporta: non avere mire di possesso, sentire sempre la propria povertà, vedere tutto come dono.
Questa è anche la condizione spirituale di chi accetta di seguire il Signore, di chi decide di partire accogliendo la sua chiamata, sotto il segno della sua invisibile ma potente benedizione. E Abramo, “padre dei credenti”, accetta questa chiamata, nella fede. Scrive san Paolo nella Lettera ai Romani: «Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto»
La fede conduce Abramo a percorrere un cammino paradossale. Egli sarà benedetto ma senza i segni visibili della benedizione: riceve la promessa di diventare grande popolo, ma con una vita segnata dalla sterilità della moglie Sara; viene condotto in una nuova patria ma vi dovrà vivere come straniero; e l’unico possesso della terra che gli sarà consentito sarà quello di un pezzo di terreno per seppellirvi Sara (cfr Gen 23,1-20).
Abramo è benedetto perché, nella fede, sa discernere la benedizione divina andando al di là delle apparenze, confidando nella presenza di Dio anche quando le sue vie gli appaiono misteriose.
Che cosa significa questo per noi? Quando affermiamo: “Io credo in Dio”, diciamo come Abramo: “Mi fido di Te; mi affido a Te, Signore”, ma non come a Qualcuno a cui ricorrere solo nei momenti di difficoltà o a cui dedicare qualche momento della giornata o della settimana.
Dire “Io credo in Dio” significa fondare su di Lui la mia vita, lasciare che la sua Parola la orienti ogni giorno, nelle scelte concrete, senza paura di perdere qualcosa di me stesso.
Credere in Dio ci rende dunque portatori di valori che spesso non coincidono con la moda e l’opinione del momento, ci chiede di adottare criteri e assumere comportamenti che non appartengono al comune modo di pensare. Il cristiano non deve avere timore di andare “controcorrente” per vivere la propria fede, resistendo alla tentazione di “uniformarsi”.
Eppure, la sete di Dio (cfr. Sal 63,2) non si è estinta e il messaggio evangelico continua a risuonare attraverso le parole e le opere di tanti uomini e donne di fede. Abramo, il padre dei credenti, continua ad essere padre di molti figli che accettano di camminare sulle sue orme e si mettono in cammino, in obbedienza alla vocazione divina, confidando nella presenza benevola del Signore e accogliendo la sua benedizione per farsi benedizione per tutti.
Affermare “Io credo in Dio” ci spinge, allora, a partire, ad uscire continuamente da noi stessi, proprio come Abramo, per portare nella realtà quotidiana in cui viviamo la certezza che ci viene dalla fede: la certezza, cioè, della presenza di Dio nella storia, anche oggi; una presenza che porta vita e salvezza, e ci apre ad un futuro con Lui per una pienezza di vita che non conoscerà mai tramonto.