venerdì 30 novembre 2012

1 Dicembre: inizia l'Avvento! E noi?


Anno della fede 2012-2013
giornata mondiale della gioventù – rio de janeiro, agosto 2013

Associazione Maria Madre Nostra  II incontro
1 Dicembre 2012 18.00
Incontro di preghiera e adorazione Cappellina Maria Madre Nostra

Avvento: tempo di…?
v  … Mettersi in viaggio:
(…per la Gmg di Rio de Janeiro! Ma qual è l’invito che personalmente ci è rivolto?)
Cari giovani,
vorrei far giungere a tutti voi il mio saluto pieno di gioia e di affetto. Ci stiamo preparando alla prossima Giornata Mondiale, che si celebrerà a Rio de Janeiro, in Brasile, nel luglio 2013. Desidero anzitutto rinnovarvi l’invito a partecipare a questo importante appuntamento. La celebre statua del Cristo Redentore, che domina quella bella città brasiliana, ne sarà il simbolo eloquente: le sue braccia aperte sono il segno dell’accoglienza che il Signore riserverà a tutti coloro che verranno a Lui e il suo cuore raffigura l’immenso amore che Egli ha per ciascuno e per ciascuna di voi. Lasciatevi attrarre da Lui! Vivete questa esperienza di incontro con Cristo, insieme ai tanti altri giovani che convergeranno a Rio per il prossimo incontro mondiale! Lasciatevi amare da Lui e sarete i testimoni di cui il mondo ha bisogno.
La storia ci ha mostrato quanti giovani, attraverso il dono generoso di se stessi, hanno contribuito grandemente al Regno di Dio e allo sviluppo di questo mondo, annunciando il Vangelo. Con grande entusiasmo, essi hanno portato la Buona Notizia dell’Amore di Dio manifestato in Cristo, con mezzi e possibilità ben inferiori a quelli di cui disponiamo al giorno d’oggi. Oggi non pochi giovani dubitano profondamente che la vita sia un bene e non vedono chiarezza nel loro cammino. Più in generale, di fronte alle difficoltà del mondo contemporaneo, molti si chiedono: io che cosa posso fare? La luce della fede illumina questa oscurità, ci fa comprendere che ogni esistenza ha un valore inestimabile, perché frutto dell’amore di Dio. Egli ama anche chi si è allontanato da Lui o lo ha dimenticato: ha pazienza e attende; anzi, ha donato il suo Figlio, morto e risorto, per liberarci radicalmente dal male. E Cristo ha inviato i suoi discepoli per portare a tutti i popoli questo annuncio gioioso di salvezza e di vita nuova.
La Chiesa, nel continuare questa missione di evangelizzazione, conta anche su di voi. Cari giovani, voi siete i primi missionari tra i vostri coetanei! Alla fine del Concilio Ecumenico Vaticano II, di cui quest’anno celebriamo il 50° anniversario, il Servo di Dio Paolo VI consegnò ai giovani e alle giovani del mondo un Messaggio che si apriva con queste parole: «È a voi, giovani uomini e donne del mondo intero, che il Concilio vuole rivolgere il suo ultimo messaggio. Perché siete voi che raccoglierete la fiaccola dalle mani dei vostri padri e vivrete nel mondo nel momento delle più gigantesche trasformazioni della sua storia. Siete voi che, raccogliendo il meglio dell’esempio e dell’insegnamento dei vostri genitori e dei vostri maestri, formerete la società di domani: voi vi salverete o perirete con essa». E concludeva con un appello: «Costruite nell’entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!» (Messaggio ai giovani, 8 dicembre 1965).
Gesù ha inviato i suoi discepoli in missione con questo mandato: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato» (Mc 16,15-16). Evangelizzare significa portare ad altri la Buona Notizia della salvezza e questa Buona Notizia è una persona: Gesù Cristo. Quando lo incontro, quando scopro fino a che punto sono amato da Dio e salvato da Lui, nasce in me non solo il desiderio, ma la necessità di farlo conoscere ad altri. All’inizio del Vangelo di Giovanni vediamo Andrea il quale, dopo aver incontrato Gesù, si affretta a condurre da Lui suo fratello Simone (cfr 1,40-42). L’evangelizzazione parte sempre dall’incontro con il Signore Gesù: chi si è avvicinato a Lui e ha fatto esperienza del suo amore vuole subito condividere la bellezza di questo incontro e la gioia che nasce da questa amicizia. Più conosciamo Cristo, più desideriamo annunciarlo.
Cari amici, volgete gli occhi e guardate intorno a voi: tanti giovani hanno perduto il senso della loro esistenza. Andate! Cristo ha bisogno anche di voi. Lasciatevi coinvolgere dal suo amore, siate strumenti di questo amore immenso, perché giunga a tutti, specialmente ai «lontani». Alcuni sono lontani geograficamente, altri invece sono lontani perché la loro cultura non lascia spazio a Dio; alcuni non hanno ancora accolto il Vangelo personalmente, altri invece, pur avendolo ricevuto, vivono come se Dio non esistesse. A tutti apriamo la porta del nostro cuore; cerchiamo di entrare in dialogo, nella semplicità e nel rispetto: questo dialogo, se vissuto in una vera amicizia, porterà frutto. I «popoli» ai quali siamo inviati non sono soltanto gli altri Paesi del mondo, ma anche i diversi ambiti di vita: le famiglie, i quartieri, gli ambienti di studio o di lavoro, i gruppi di amici e i luoghi del tempo libero. L’annuncio gioioso del Vangelo è destinato a tutti gli ambiti della nostra vita, senza alcun limite.
v  … Diventare discepoli:
Il Beato Giovanni Paolo II scriveva: «La fede si rafforza donandola» (Enc. Redemptoris missio, 2). Annunciando il Vangelo voi stessi crescete nel radicarvi sempre più profondamente in Cristo, diventate cristiani maturi. L’impegno missionario è una dimensione essenziale della fede: non si è veri credenti senza evangelizzare. E l’annuncio del Vangelo non può che essere la conseguenza della gioia di avere incontrato Cristo e di aver trovato in Lui la roccia su cui costruire la propria esistenza. Impegnandovi a servire gli altri e ad annunciare loro il Vangelo, la vostra vita, spesso frammentata tra diverse attività, troverà la sua unità nel Signore, costruirete anche voi stessi, crescerete e maturerete in umanità.
Ma che cosa vuol dire essere missionari? Significa anzitutto essere discepoli di Cristo, ascoltare sempre di nuovo l’invito a seguirlo, l’invito a guardare a Lui: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Un discepolo, in effetti, è una persona che si pone all’ascolto della Parola di Gesù (cfr Lc 10,39), riconosciuto come il Maestro che ci ha amati fino al dono della vita. Si tratta dunque, per ciascuno di voi, di lasciarsi plasmare ogni giorno dalla Parola di Dio: essa vi renderà amici del Signore Gesù e capaci di far entrare altri giovani in questa amicizia con Lui.
Vi consiglio di fare memoria dei doni ricevuti da Dio per trasmetterli a vostra volta. Imparate a rileggere la vostra storia personale, prendete coscienza anche della meravigliosa eredità delle generazioni che vi hanno preceduto: tanti credenti ci hanno trasmesso la fede con coraggio, affrontando prove e incomprensioni.
Penso che abbiate sperimentato più volte la difficoltà di coinvolgere i vostri coetanei nell’esperienza di fede. Spesso avrete constatato come in molti giovani, specialmente in certe fasi del cammino della vita, ci sia il desiderio di conoscere Cristo e di vivere i valori del Vangelo, ma questo sia accompagnato dal sentirsi inadeguati e incapaci. Che cosa fare? Anzitutto la vostra vicinanza e la vostra semplice testimonianza saranno un canale attraverso il quale Dio potrà toccare il loro cuore. L’annuncio di Cristo non passa solamente attraverso le parole, ma deve coinvolgere tutta la vita e tradursi in gesti di amore. L’essere evangelizzatori nasce dall’amore che Cristo ha infuso in noi; il nostro amore, quindi, deve conformarsi sempre di più al suo. Come il buon Samaritano, dobbiamo essere sempre attenti a chi incontriamo, saper ascoltare, comprendere, aiutare, per condurre chi è alla ricerca della verità e del senso della vita alla casa di Dio che è la Chiesa, dove c’è speranza e salvezza (cfr Lc 10,29-37). Cari amici, non dimenticate mai che il primo atto di amore che potete fare verso il prossimo è quello di condividere la sorgente della nostra speranza: chi non dà Dio, dà troppo poco! Ai suoi apostoli Gesù comanda: «Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). I mezzi che abbiamo per «fare discepoli» sono principalmente il Battesimo e la catechesi. Ciò significa che dobbiamo condurre le persone che stiamo evangelizzando a incontrare Cristo vivente, in particolare nella sua Parola e nei Sacramenti: così potranno credere in Lui, conosceranno Dio e vivranno della sua grazia. Vorrei che ciascuno si chiedesse: ho mai avuto il coraggio di proporre il Battesimo a giovani che non l’hanno ancora ricevuto? Ho invitato qualcuno a seguire un cammino di scoperta della fede cristiana? Cari amici, non temete di proporre ai vostri coetanei l’incontro con Cristo. Invocate lo Spirito Santo: Egli vi guiderà ad entrare sempre più nella conoscenza e nell’amore di Cristo e vi renderà creativi nel trasmettere il Vangelo.
v  … Vegliare e stare in attesa pieni di gioia:
In conclusione, cari giovani, vorrei invitarvi ad ascoltare nel profondo di voi stessi la chiamata di Gesù ad annunciare il suo Vangelo. Come mostra la grande statua di Cristo Redentore a Rio de Janeiro, il suo cuore è aperto all’amore verso tutti, senza distinzioni, e le sue braccia sono tese per raggiungere ciascuno. Siate voi il cuore e le braccia di Gesù! Andate a testimoniare il suo amore, siate i nuovi missionari animati dall’amore e dall’accoglienza! Seguite l’esempio dei grandi missionari della Chiesa, come san Francesco Saverio e tanti altri.
Benedetto XVI
Non perché un angelo entrò (sappilo questo),
si spaventò. (...)
Non perché entrò ma perché tanto vicino
accostò su di lei l’angelo un volto
di giovinetto; così che il suo sguardo e quello
che lei sollevò furono un battito
come se fuori tutto, a un tratto, fosse vuoto
e l’affanno di milioni, il guardare, l’andare
tutto fosse penetrato in loro; solo lei e lui,
lo sguardo e chi è guardato, l’occhio e la sua delizia,
in nessun altro luogo se non qui –: vedi
è questo che sgomenta. E fu sgomento a entrambi.
Poi intonò l’angelo la sua melodia.

Rainer Maria Rilke (da Das Marien-Leben, 1912)

lunedì 5 novembre 2012

La Creatività al Potere!

Provo a restituire qualcosa di Don Renato, nella consapevolezza di consegnare soltanto un frammento dei suoi ultimi anni.
Ricordo e catechesi per Don Renato Gargini

A Marina di Massa il vento della mareggiata spazzava la spiaggia e gonfiava le onde. “Don Renato, a questo vento si sala come una sardina!”. Quando i cavalloni si rincorrono in quel modo la salsedine arriva a palate. Ma a don Renato, così mi diceva, piaceva anche quel tempo così burrascoso e antipatico per le attività del Soggiorno estivo dell’Apr. Fissando il mare grigio ricordavamo come anche i santi e i mistici, da Agostino a Caterina da Siena, hanno parlato del mare per parlare di Dio. Don Renato commentava in economia di parole, più assorto nella contemplazione che interessato a intrecciare un ampio discorso. Un tratto sempre più emergente nei suoi ultimi anni, ma sempre custodito. Dalla sua contemplazione, infatti, scaturiva l’urgenza di un’operatività creativa, coinvolta pienamente nella vita e nei drammi degli uomini, che sapeva trarre sintesi inaspettate da immagini, fatti o parole apparentemente sconnessi. Così una riflessione sulla catechesi poteva prendere avvio da un calzino, le vicende geopolitiche della Cina incidere sull’attenzione alla disabilità, George Lemaitre con la sua teoria del Big bang, rimandare alle espressione di uno dei ragazzi del centro. A volte le acrobazie garginiane erano ardue da seguire fino in fondo, ma sempre finalizzate a leggere la complessità della storia alla luce dei piccoli, che poi è la luce di Dio. C’era un retroterra teologico fatto di letture ripetute e profondamente assimilate, come quella di Teilhard de Chardin, per cui tutta la storia dell’umanità è coinvolta in un grandioso cammino evolutivo dove Cristo è cifra e misura fuori-misura della méta. Ma c’era poi la grande mistica spagnola di Giovanni della Croce e la “notte oscura” della fede riletta nei termini delle “oscurità e dei limiti” della vita disabile.

I piccoli con cui don Renato ha condiviso la sua esistenza, chiedevano –ribadiva- l’impegno e l’investimento della Chiesa, attraverso un rinnovato approccio che superasse il pietismo e l’accettazione passiva del male per renderli finalmente protagonisti. Occorreva mettere a frutto i contributi del Concilio e tutta la sua vasta esperienza nella catechesi per operare soluzioni nuove ed incisive. Un’impresa in cui nessuno, con i suoi propri carismi, poteva tirarsi indietro. La consapevolezza di seguire la via giusta lo spingeva a indicare a ciascuno la sua missione personale, a rinforzare i “non puoi, ma devi”, l’invito a fare subito e senza indugi. Celebre il suo “per ieri!” a chi, ingenuamente, chiedeva una scadenza. Il successo, una volta seguite le sue indicazioni, non era garantito e di sicuro il primo tentativo non era quello riuscito.

Ma alla radice del suo agire c’era soprattutto una fede tenace, alimentata da una vita di preghiera profonda e continuativa anche nell’azione operosa. L’Eucarestia era il centro di tutto: il momento di sintesi per eccellenza. Nella messa tutta la vita del centro era coinvolta, tutte le storie, le lacrime e le gioie dei ragazzi e delle loro famiglie. Per i singoli e le famiglie Don Renato aveva un’attenzione speciale, mai pietistica o meramente assistenziale, ma sollecita all’azione battagliera e coraggiosa, finalizzata a ottenere riconoscimenti, sostegno, dalla semplice disponibilità all’ascolto all’impegno pratico per l’acquisto di uno scaldabagno. Con i ragazzi era sempre in attesa dell’evento profetico, del segno con cui interpretare la realtà, dell’insegnamento con cui lasciarsi catechizzare e istruire.

Si potrebbe aggiungere ancora molto, ma a questo punto, preferisco sterzare il discorso verso formulazioni a lui più congeniali. Don Renato mi perdonerà se gli faccio un po’ il verso (non escludo tirate di piedi e bacchettate nel sonno), ma mi sembrava il modo migliore per raccontarlo, intrecciando le immagini con alcune sue citazioni in una sorta di cartellone catechistico.

1.

Come instradarsi verso la pienezza della vita?
Maria ci educa al sì che rivoluziona la nostra esistenza! Pronunciare il proprio sì al Signore nel servizio ai fratelli più piccoli spalanca la vita! La disponibilità al volontariato “è la svolta per uscire da te e ritrovarti più ricco, perdendoti e più capace di non disperdere la tua vita, imparando a donarla”. Così, nella città del consumo e della marginalità, fiorisce un giardino. Qui la vita consegnata al Signore nel servizio si apre allo stupore dell’incontro. Così nasce il canto e la creatività, ci si apre alla responsabilità e all’impegno che chiede ogni vocazione. Qui nasce la bellezza che attrae e chiama alla conversione.

2.

Simone indica la croce. C’era anche lui alla vigilia del Giubileo del 2000, quando nella Cappella dedicata a Maria Madre Nostra nel centro di San Biagio ha sostato la croce del Papa. E’ la croce che accompagna i giovani alle Giornate Mondiali della Gioventù: indicazione sicura per la navigazione sulle rotte della fede. 
Nella “notte oscura” della disabilità, c’è il peso del limite, l’intermittenza o la discontinuità comunicativa, il mistero del dolore, ma anche la via privilegiata per l’unione con Dio. “Come la croce è il momento culminante dell’azione di Cristo, anche l’handicap, vissuto come Croce, può diventare una fonte di crescita dell’umanità”. Guidare i piccoli all’incontro con Dio significa aiutarli a raggiungere la pienezza della vita in Lui e renderli protagonisti dell’evangelizzazione. Nella fede, infatti, si fa sempre più trasparente il mistero che è in loro.



3.

Sulla strada per Valdibrana, nel rigoglio primaverile, è sempre nuova la gioia del pellegrinaggio. Insieme il cammino è più leggero e la meta attrattiva. Sono molteplici la vie del servizio e una parola chiave è comunicazione. Comunicazione che nasce dall’accoglienza e dall’ascolto dei piccoli, dalla necessità di sperimentare linguaggi, sollecitare interesse, rivelare la quotidianità dolorosa e la dedizione delle famiglie con disabili. Ma soprattutto è comunicazione di una gioia possibile e sorprendente, propriamente evangelica. “E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni” (Mt 10, 7-8). Evangelizzazione e guarigione non vanno disgiunte. Anche dall’handicap si può guarire, ma insieme, camminando sulle vie dell’amore.
4.

E’ dolce il volto di Cristo. 
Nel Santo Volto di Manoppello, tanto caro a Don Renato, si vedono, in trasparenza, i segni della passione che ripetono quelli sulla Sindone. Nelle ferite di Cristo si riconoscono le ferite che guastano l’uomo nella disabilità del corpo come in quella del cuore. Ma le ferite si ricompongono nel volto del Vivente che pacifica con lo sguardo sereno e pieno di amore. 
“Il luogo dell’handicap è quello che permette di sognare. La creatività, la novità e la potenza resurrezionale che agita in Cristo la storia dell’uomo contraddistinguono tutto ciò che è o si agita intorno all’handicap”. Molto è stato fatto, la strada spianata, purché l’azione si fondi nella contemplazione. Don Renato l’aveva fatto scrivere sul retro di questo volto, donato in regalo dai ragazzi del centro: “guardandolo cresce l’amore”.



Salato come una sardina, sulla spiaggia di Marina di Massa Don Renato puntava meditabondo il montare delle onde. Oggi lo voglio immaginare come sardina celeste, guizzante tra branchi di santi e ragazzi che l’hanno preceduto, mentre punta dritto verso quel Volto che è abisso d’amore e di creatività infinita.

lunedì 22 ottobre 2012

27 ottobre: incontro di preghiera e adorazione



Anno della fede 2012-2013
giornata mondiale della gioventù – rio de janeiro, agosto 2013



27 ottobre 2012 17.30
Incontro di preghiera e adorazione Cappellina Maria Madre Nostra



Andate e fate discepoli tutti i popoli!
Siamo all’inizio del nostro cammino, che coincide con l’ottobre missionario, il tema di questo nostro incontro è lo stesso della Giornata Missionaria Mondiale.
“Ho creduto perciò ho parlato” sono le parole del Salmo 116, che Paolo dedica ai suoi amici della comunità di Corinto. Anche noi, guidati dall’Apostolo delle genti, riflettiamo sulla nostra fede nel Signore Gesù e sulla missione che ci è affidata ogni giorno.


Video con testimonianza di don Andrea Santoro
Preghiera e Adorazione
Cena conviviale (Elettra 340.58 91 208, Martina 338.24 66 308)


madrenostra.blogspot.it
Comunità Maria Madre Nostra

domenica 14 ottobre 2012

50 anni dopo. Una fiaccolata con papa Benedetto.


Si chiama Joseph, ma non fa il papa. Anzi, si direbbe che un po’ ce l’abbia pure con lui. Siamo all’indomani del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e dell’avvio dell’Anno della Fede. Da bravo seminarista attento alle circostanze del momento presente mi documento sulla storia del Concilio con un libretto comprato per l’occasione. Alla stregua di qualche poeta romantico affacciato su mari di nebbia e rovine gotiche in cerca di ispirazione mi sistemo bel bello in Piazza San Pietro col libro nuovo di pacca. In realtà attendo amici e dissimulo pose situazioniste rincantucciandomi tra le colonne del porticato del Bernini. Ma c’è spazio per poche pagine perché nel frattempo arriva Joseph. Ha l’aspetto di un reduce, uno di quei soldati vestiti di grigio topo dell’esercito di Cecco Beppe. E’ austriaco ma ha sulle spalle il peso di qualche trauma, di una disgrazia capitata in Italia. Vive per strada, ma veste distinto – nonostante i calzoni corti- e con grande dignità. “Questi preti non hanno umanität : basta guardarli”. Ce ne sono più o meno per tutti. Visto il tipo, però, c’è poco da rispondere. “C’erano due uccellini caduti dal nido. Sono passate suore, preti: nessuno si è fermato! Non hanno visto che avevano bisogno di cura? Ho perso due ore per trovare il posto più vicino per farli curare. Poi loro allevano e quando sanno volare lasciano liberi. Questi preti parlano molto dolce, ma non hanno zenzo della realtà”. Con tutta la buona volontà mi accingo a perorare la causa della santa chiesa cattolica. E’ una battaglia persa e la storia di quei due uccellini mi ronza nella testa.


Si chiama Joseph e fa il papa. Il giorno precedente, la sera dell’11 ottobre, si è affacciato sulla piazza colma di gente, per lo più giovani con le candele accese in ricordo della fiaccolata che cinquant’anni fa accompagnò l’apertura del Concilio e ascoltò il celebre ‘discorso alla luna’ di Giovanni XXIII, quello che tutti ricordano per la ‘carezza ai bambini’. Anche il Papa ha sulle spalle il peso di qualche trauma, porta con sé “le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi” per usare il celebre attacco della Gaudium et Spes. Dalla camera dei ricordi è Joseph che parla, a braccio e un po’ commosso : “Cinquant’anni fa, in questo giorno, anche io sono stato qui in Piazza .. Eravamo felici .. e pieni di entusiasmo. Il grande Concilio Ecumenico era inaugurato; eravamo sicuri che doveva venire una nuova primavera della Chiesa”. Dalla camera vaticana è il papa che parla: “In questi cinquant’anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste e si traduce, sempre di nuovo, in peccati personali, che possono anche divenire strutture del peccato. Abbiamo visto che nel campo del Signore c’è sempre anche la zizzania .. Abbiamo visto che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e qualche volta abbiamo pensato: «il Signore dorme e ci ha dimenticato»”. Parole che gelano la piazza canterina e ammansita dal ricordo del Papa buono. “Il fuoco dello Spirito Santo – prosegue il Papa - il fuoco di Cristo non è un fuoco divoratore, distruttivo; è un fuoco silenzioso, è una piccola fiamma di bontà, di bontà e di verità, che trasforma, dà luce e calore. Abbiamo visto che il Signore non ci dimentica... Cristo vive, è con noi anche oggi, e possiamo essere felici anche oggi perché la sua bontà non si spegne; è forte anche oggi!”.

Possibile che dopo cinquant’anni, dopo il grande sforzo di aggiornamento attuato dal Concilio, dopo la poderosa riflessione sulla Chiesa elaborata in quegli anni lo stesso Papa descriva con parole così drammatiche la Chiesa e le sue vicissitudini? Forse anche di questo c’era bisogno. Per quanti progressi si possano maturare nell’aggiornare strumenti e strutture con essi non intacchiamo l’essenziale. Per quanto numerosi possano essere i giovani che affollano le piazze (che bisogno c’è poi di contarsi sempre?) o i cattolici che si rendono vivaci e presenti in parrocchia o nella rete, non è con i numeri, né con post, né con tag o cinguettii che si misura l’opera dello Spirito. 

Certamente la storia passa per i grandi della gerarchia ed i buoni e influenti teologi, ma gli ingranaggi decisivi si scoprono nei luoghi più impensati, spesso nel grigio e nelle tenebre in cui operano i santi e vivono i più piccoli tra i piccoli. Così, infatti, dove non sarebbe arrivato il Concilio Vaticano I e oltre, è arrivata una povera illetterata dei Pirenei. Poi da Lourdes, passando anche per Lisieux (solo per fare un esempio noto a tutti) il testimone è passato a tre pastorelli di Fatima a cui sono stati consegnati i misteri più gravi del secolo. La grande storia si piega alla preghiera, cede il fianco a ciò che è nascosto ed umile per confondere i potenti ed i sapienti di questo mondo. Così è stato anche nei momenti più bui del secolo come insegnano Edith Stein, Padre Kolbe e François Xavier Van Thuan. Nei piccoli, infatti, Cristo può parlare e rivelarsi con maggiore forza e splendore. Altrimenti occorre spezzarsi, frantumare le proprie sovrastrutture sul legno della croce per tornare come loro e abbandonarsi completamente a Dio. “In un punto decisivo della via cristiana la natura deve andare con Cristo alla morte. La sua crescita rettilinea deve rompersi, la sua visione deve trasformarsi in notte, la sua accurata compiacenza di sé in maltrattamento”. E un passaggio nodale che è garanzia di maturità, che permette di operare quel cambiamento di mentalità per cui non agiamo e pensiamo più come se Dio “fosse alle nostre spalle” e toccasse a noi programmare la via migliore e più feconda, ma “camminiamo in attesa aperta, verso di Lui”. Così diceva Hans Urs Von Balthasar, il grande teologo in Chi è il Cristiano?: un testo acuto e dirompente composto nel 1965, all’indomani della conclusione del Concilio. “Possiamo avvicinarci a Dio solo se, al di la di tutti i nostri propri problemi, rimane in noi lo spazio libero per ciò che la sua volontà ha di inatteso”. E’ una disposizione che passa per una vera e propria ‘espropriazione’. Per la chiesa tale espropriazione, che pure si avvia nelle aperture al mondo segnate dal Concilio, si trasforma in umiliazione. Un’umiliazione che chiede il perdono, così come lo ha ripetutamente formulato Giovanni Paolo II nel suo pontificato e soprattutto in occasione del Giubileo del 2000, ma è un’umiliazione, prosegue il teologo “da cui viene spontaneo il termine vergogna, e non ci si deve sforzare di liberarsene”. E difatti, anche volendo, non è per niente facile liberarsene. Anzi, dalla radice cattiva spuntano sempre nuovi polloni.

Quando nel 2010 volava verso Fatima Benedetto XVI sembrava parlare proprio di questo ai giornalisti che lo incalzavano sul terzo mistero: “anche qui, oltre questa grande visione della sofferenza del Papa, che possiamo in prima istanza riferire a Papa Giovanni Paolo II, sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano ... Il Signore ci ha detto che la Chiesa sarebbe stata sempre sofferente, in modi diversi, fino alla fine del mondo ... la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa ... Con una parola, dobbiamo ri-imparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza e le virtù teologali. Così rispondiamo, siamo realisti nell’attenderci che sempre il male attacca, attacca dall’interno e dall’esterno, ma che sempre anche le forze del bene sono presenti e che, alla fine, il Signore è più forte del male, e la Madonna per noi è la garanzia visibile, materna della bontà di Dio, che è sempre l’ultima parola nella storia”. E’ una visione della storia e della chiesa che non si recupera sui libri, né si descrive con i numeri o le categorie degli analisti moderni: “la preghiera, la sofferenza, l’obbedienza di fede, la disponibilità (forse non sfruttata), l’umiltà, sfuggono ad ogni statistica”. E’ facile nei bar, come nelle sagrestie ( e perfino nei seminari e/o collegi) smarcarsi dalla vergogna e dall’espropriazione parlando di trame di palazzo, di berrette e partiti interni: “non è possibile – ammonisce ancora il vecchio Balthasar – che il cristiano voglia esigere e stare a guardare come la Chiesa viene espropriata e umiliata, senza veder compiersi questo salutare processo nella sua esistenza”.

50 anni dopo il concilio il Papa invita a tornare sui testi, gli autentici interpreti dei segni dei tempi. Con essi e con la fatica penata per elaborarli, il Concilio si “è preoccupato di far sì che la medesima fede continui ad essere vissuta nell’oggi, continui ad essere una fede viva in un mondo in cambiamento”. Le oscurità e le fatiche non verranno mai meno e sono il banco di prova dei nostri entusiasmi apostolici. Anche i santi più ardenti e coraggiosi ci si sono scontrati. San Giovanni Battista proclamava con parole di fuoco che il Messia era vicino: “Già la scure è posta alla radice degli alberi”! Ma poi, in attesa del supplizio, mandò dalla sua cella i discepoli a chiedere conferma. San Francesco Saverio, il grande evangelizzatore dell’Oriente, si diceva pronto a dare la vita per Cristo e la Chiesa così come dice il Vangelo: “chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”. Però, come scrive in una lettera “quantunque il latino e il significato in genere di queste parole del Signore sia facile da intendere”, quando la situazione precipita davvero “tutto si fa così buio che il latino, pur essendo tanto chiaro, comincia ad offuscarsi, e in tal caso mi sembra che lo possa intendere solo colui al quale, per dotto che sia, Dio Nostro Signore lo vuole palesare in momenti particolari e per la Sua infinita misericordia”. Non a tutti il Signore chiede prove così esigenti, ma a tutti chiede il salto della fede. E’ un salto difficile, ma che apre alla speranza e alla gioia, perché, dice il Papa, “la fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo”. “Cristiano – chiosa, invece von Balthasar – è l’uomo che vive di fede, che cioè ha regolato tutta la sua esistenza sull’unica possibilità apertagli da Gesù Cristo, il figlio di Dio, obbediente per noi tutti fino alla croce: quella di partecipare al sì obbediente, che redime il mondo, detto da Dio”. E se attorno alla Chiesa gravita il male, proprio la  feconda riflessione del Concilio ci ha dischiuso una prospettiva ricchissima sulla chiesa come mistero, comunione fra gli uomini e fra il cielo e la terra, chiesa come popolo chiamato universalmente alla santità, orientato, nella storia, sulla via della salvezza.

Sui marciapiedi della cronaca, invece, più precisamente quelli intorno a San Pietro, incrocio una signora devota. Lei, vedova con molti figli, torna dalla preghiera in chiesa. “Eh..sono vecchia, sa? ottantun’anni!”. E’ l’esordio tipico di chi vuole attaccare bottone e infatti la signora sorride prosegue e racconta: “Io abito qua vicino..ma sa che dalla terrazza vedevo papa Giovanni Paolo?”. Provo a dribblarla, ma lei insiste e mi dice di averlo sempre visto pregare, lui solo che camminava con il breviario in mano su una terrazza. Un papa, dunque, dei giorni feriali e dei momenti qualunque che diventa maestro di preghiera. Sono curiose le vie dello Spirito, ma passano quasi sempre per la carne e le parole degli uomini. Il cristiano che tiene Cristo davanti a sé non può fare a meno di correre incontro e insieme al fratello. “Tuttavia – e per l’ultima volta cito lo scritto di von Balthasar- dentro il fratello che incontra egli scorge il Figlio dell’uomo che per lui è morto e per lui interpone l’intercessione presso il Padre. Egli lo scorge dietro ognuno, dietro il mondo intero. Di ciò si nutra la sua speranza. .. la speranza dei cristiani non corre via dalla storia, ma lungo la storia corre verso la fine”.

Gli occhi di Joseph – quello che non fa il papa - pur nella maestosità della piazza berniniana, hanno saputo scorgere due uccellini caduti dal nido. Con il suo accento tedesco prosegue la sua requisitoria ora guardando dritto davanti a sé, come per concentrarsi o rammaricarsi di come stanno le cose, poi, di tanto in tanto, volgendo lo sguardo indietro ad una borsa che tiene accanto ai suoi piedi. “Chissà cosa ci tiene? Magari i pochi spiccioli o qualche vestito..”. Ma poi, quando si alza per salutarmi scorgo che nella borsa è avvolto un cucciolo: un cagnolino nero mezzo addormentato. Joseph lo accarezza con una tenerezza infinita che stride con gli accenti polemici di qualche minuto primo. “Si chiama Stella. E’ molto, molto tenera”. La tenerezza è un linguaggio universale, anche gli uomini più duri e arrabbiati finiscono per cedere di fronte ad un gesto di tenerezza. Anche gli animali sono sensibili alla tenerezza e perfino le bestie più temibili cedono di fronte alle coccole. Forse è per questo che quelle parole di cinquant’anni fa sono rimaste nella storia e nei cuori di tutti: “portate una carezza ai vostri bambini..”. Da chi custodisce la tenerezza ed ha occhi per le cose minime si può molto sperare.


Il mio libro sulla storia del concilio ha perso un po’ di interesse. Confesso che volevo saperne di più su contrasti tra tradizionalisti e progressisti, conoscerne i nomi, le svolte e le battute di arresto. C’è molto da leggere su questo. Ma che almeno tutto sia propedeutico a leggere il mondo e gli uomini. E per questo ci vuole la vista fine che allenano soprattutto la preghiera e l’amore. Così, nell’intreccio tra luce e tenebre proprio della storia i piccoli hanno un ruolo privilegiato. A loro, in modo particolare, papa Giovanni affidò la preghiera per il concilio: ai bambini “la cui innocenza e le cui preghiere a nessuno sfugge quanto valgano presso Dio, sia gli ammalati e i sofferenti, persuasi che i loro dolori e la loro vita, assai simile ad una immolazione, in virtù della Croce di Cristo si tramutano in una valida supplica, in salvezza, in fonte di vita più santa per la Chiesa intera”. Messe da parte le ri-letture, nuove attraenti letture ci aspettano.

Il Joseph papa, affacciato dalla finestra, si sarà pure sentito in obbligo di citare il beato predecessore. Ma in effetti, non poteva che concludere così: «Andate a casa, date un bacio ai bambini e dite che è del Papa».

sabato 15 settembre 2012

Ricominciare dal Volto..sabato 29 settembre!

In qualche ricettacolo della memoria, tra le pieghe nascoste del cuore, nei sogni o nelle indirette elaborazioni della mente, in questo e in molto altro, c’è un volto. Quel volto. Forse possiamo intravederlo nella persona amata, nell’amico più amico, eppure tra gli uomini la ricerca non trova risposta definitiva.

Alcuni di noi hanno ancora in mente il Volto Santo di Manoppello. Nel nostro pellegrinaggio di fine agosto ci siamo spinti fino a questo oscuro paesino abruzzese in cui è custodito un oggetto davvero singolare. 
Nella chiesa dei Cappuccini di Manoppello c’è un velo molto sottile, tessuto di bisso, una fibra preziosa ricavata da un mollusco. Un velo semitrasparente che porta impresso il volto di un uomo. Un primo sguardo può lasciare interdetti ed alimentare la sensazione che si tratti di un dipinto quattrocentesco, opera, peraltro, di un pittore piuttosto mediocre. E’ il volto di uomo con barba e capelli lunghi, gli occhi aperti in uno sguardo mite e una bocca semiaperta che sembra accennare qualcosa e, talvolta, aprirsi ad un sorriso.  A guardare bene, però, sul volto appaiono macchie scure, visibili sul naso, nel sopracciglio, tra la barba. Macchie di sangue o di siero che corrispondono perfettamente a quelle visibili sul volto dell’uomo della sindone.
Chi si avvicina e lo vede dal vivo misura immediatamente quanto il riflesso della luce ed il punto di vista influiscano sulla percezione dell’immagine. Basta spostarsi leggermente per mettere a fuoco la trama di bisso, oppure per riconoscere le macchie di sangue o di siero impresse sul velo. Ma lo sguardo può anche andare oltre e puntare su ciò che sta dietro ed è visibile in trasparenza.
E’ il volto di Gesù?
Misteriose e avvincenti peripezie hanno condotto fino a Manoppello questo strano oggetto che alcuni fanno coincidere con la Veronica, il velo con il volto di Cristo particolarmente venerato a Roma in età medievale. Ma per quanto possano suscitare curiosità ed interesse queste storie il fascino di questo velo interpella direttamente chi lo guarda. Forse si tratta della disponibilità continua di offrirsi allo sguardo dei curiosi o dei pellegrini. Quel volto silenzioso si lascia guardare e ci guarda. Sembra ascoltare e interessarsi alle vicende umane pur senza restarci imprigionato. E più lo si guarda più si scoprono i segni del dolore, le ferite, il sangue che bagna quel viso che ispira la pace. Più si contempla più si schiude un sorriso dalle labbra. “Guardandolo” – suggeriva Don Renato, quando qualche anno fa realizzò un piccolo dono con il volto santo – “cresce l’amore”.

C’è il volto di Gesù. Ci sono i volti dei ragazzi. Chi sta accanto a loro con curiosità, poi con interesse, amicizia e anche amore scopre che servendoli “cresce l’amore”. Manoppello è dietro l’angolo anche qui a Pistoia, o Montecatini. L’estate è un tempo privilegiato per la scoperta di questi volti. Spesso sono volti altrettanto misteriosi e silenziosi. Non parlano o non comunicano con le parole. Portano ferite interiori o segni esterni. Ma spesso, stando con loro, si aprono al sorriso e lo suscitano. Al mare ci sono volti simpatici, volti di bimbi e di mamme, volti che si addormentano, ridono e (qualche volta) piangono. Volti di chi è soddisfatto prima e dopo il pasto, volti di fronte a un gelato! Volti tra le onde del mare e tra i giochi sulla spiaggia. Volti che confessano segreti nelle camere più o meno disordinate. Volti di chi prega, canta o danza.

Sappiamo stare in silenzio e in contemplazione di questi volti? Con i più gravi succede spesso di sentirsi di fronte all’orlo di un grande abisso, di fronte ad un mistero insondabile.  Si può stare davanti a loro per guardarli e provare a capire. Ma lì davanti scorgiamo prima le nostre debolezze, poi qualcuno che ci interpella. Infine troviamo l’altro, quel nome che dice  tutta la persona. 
Ecco, a quel punto, pur con tutti i gradi di incompiutezza che ci sono propri- è possibile dire: “lo conosco!”, “so chi è”, “conosco il suo nome!”. 
Sono passaggi che in fin dei conti avvengono con chiunque sperimenti un incontro più serio. Ma è in questi passaggi che avviene il miracolo e tra me e l’altro si rivela Gesù!  

Così nasce e cresce la fede. Finché non incontriamo il volto di Gesù andiamo per sentito dire. Finché Dio rimane un’idea la nostra fede è filosofia. Finché non lo riconosciamo nei volti dei fratelli la fede è soltanto morale. Forse è anche da qui che dobbiamo ripartire per coltivare l’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI. Dai volti dei ragazzi e delle loro famiglie nasce la scoperta che spinge alla testimonianza. “Vieni e vedi!”. Ci viene spesso da ripeterlo agli amici o a chi non conosce la nostra realtà. 

La testimonianza che nasce dal volto, cresce con la gioia e la condivisione, è la nostra missione. Riflettiamoci insieme anche in vista della GMG 2013 che si struttura attorno a questo tema: “Andate e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19).


C’è però un’altra categoria di volti non meno sorprendente. Sono i volti dei volontari! E’ una delle grandi ricchezze della nostra realtà, ma talvolta è anche la più fluida ed eterogenea. Il volto di Gesù, nel e con il volto dell’altro non può lasciare indifferente anche il nostro!
Vorrei affidarmi e affidarci alle parole di un “maestro” che ha imparato tutto (e tutto daccapo) dai piccoli. Si tratta di un brano tratto dall’ultimo libro di Jean Vanier (Segni. Sette parole per Sperare, Ed. San Paolo, Milano 2011), che così riporta al capitolo intitolato “Comunità”:
“Il sistema sociale dominante del momento perverte la vita di comunità e le relazioni. Perché in genere ci sono dei centri specializzati per questi e dei centri specializzati per quelli: ospedali, case di cura, luoghi di aggregazione elitari ecc. Tutti si circondano di muri. La maggior parte dei centri professionali sono altamente specializzati, accolgono soltanto una categoria ben precisa di persone. La creazione di una comunità dell’arca diventa sempre più complicata per via di regolamenti specifici, di una normalizzazione che detta legge. I simili devono stare con i simili. Come creare dei luoghi in cui i cuori possano essere toccati e donarsi gli uni gli altri in una vita di relazione? Come creare spazi in cui sia possibile l’incontro .. luoghi in cui la vita circoli a partire dai quali possa esserci una scambio profondo? Come possono riprender speranze le nostre società, se non grazie a questi spazi umani e comunitari? Abbiamo bisogno di luoghi di appartenenza di questo tipo: aperti e relazionali. In posti del genere, forse, diventiamo capaci di recuperare ciò che molte istituzioni hanno perso e fatto perdere di vista: un senso del corpo. La debolezza dei corpi ci può insegnare a far corpo tra noi, formando piccole comunità, vulnerabili e solidali, una sorta di “comunità dal Basso.

 Attorno ai nostri corpi fragili, già oggi c’è qualcosa di nuovo che nasce, ad esempio sul piano delle cure palliative. Ma c’è il rischio di voler risolvere ogni cosa grazie ad un volontariato individuale per non dire individualista. Per questo occorre ancora una volta provare a immaginare momenti di condivisione tra volontari. Lo dico con un po’ di rimpianto: non so se all’Arca riusciamo a programmare e a tener fede a incontri del genere. Viviamo dei momenti di grande vicinanza con le persone con un handicap, viviamo insieme delle belle celebrazioni, ma tra volontari, tra assistenti ci sono abbastanza momenti di condivisione, tempi di scambio di ciò che ognuno vive e sperimenta?”

Da qui vogliamo ripartire anche noi, per questo la Comunità Maria Madre Nostra e i volontari APR si ritroveranno insieme sabato 29 settembre p.v ore 17.00 presso la cappellina di San Biagio. Seguirà momento conviviale! Vi aspettiamo numerosi e calorosi!