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martedì 15 ottobre 2013

Sciogliere nodi!

La statua della Madonna di Fatima ha visitato Roma. Papa Francesco l'ha salutata con il suo stile semplice e devoto: sabato sera in Piazza San Pietro le ha donato un rosario, poi ha toccato la statua e si è fatto il segno della croce. Il gesto della gente semplice che prega e dialoga coi santi anche nelle nostre chiese. 
Occorrerà tornare sulla devozione mariana del Papa e su queste giornate. Dopo una visita personale al papa emerito, la statua è giunta in piazza. Qui ha sostato nel punto in cui Giovanni Paolo II fu ferito dalla pallottola che oggi è incastonata nella corona della Vergine. In una manciata di ore, un 'bignami'  della storia del Novecento e del presente della Chiesa. 

Dio entra davvero nella storia. "La fede nel Figlio di Dio fatto uomo in Gesù di Nazaret non ci separa dalla realtà, ma ci permette di cogliere il suo significato più profondo, di scoprire quanto Dio ama questo mondo e lo orienta incessantemente verso di sé; e questo porta il cristiano a impegnarsi, a vivere in modo ancora più intenso il cammino sulla terra" (Lumen Fidei, 18).

Si tratta, in sintesi, di dare carne alla nostra fede.
Nella catechesi al termine della via Matris lo spiegava bene Papa Francesco:
Maria ha concepito Gesù nella fede e poi nella carne, quando ha detto “sì” all’annuncio che Dio le ha rivolto mediante l’Angelo. Che cosa vuol dire questo? Che Dio non ha voluto farsi uomo ignorando la nostra libertà, ha voluto passare attraverso il libero assenso di Maria, attraverso il suo “sì”. Le ha chiesto: “Sei disposta a questo?”. E lei ha detto: “Sì”.

Ma quello che è avvenuto nella Vergine Madre in modo unico, accade a livello spirituale anche in noi quando accogliamo la Parola di Dio con cuore buono e sincero e la mettiamo in pratica. Succede come se Dio prendesse carne in noi, Egli viene ad abitare in noi, perché prende dimora in coloro che lo amano e osservano la sua Parola. Non è facile capire questo, ma, sì, è facile sentirlo nel cuore.

Pensiamo che l’incarnazione di Gesù sia un fatto solo del passato, che non ci coinvolge personalmente? Credere in Gesù significa offrirgli la nostra carne, con l’umiltà e il coraggio di Maria, perché Lui possa continuare ad abitare in mezzo agli uomini; significa offrirgli le nostre mani per accarezzare i piccoli e i poveri; i nostri piedi per camminare incontro ai fratelli; le nostre braccia per sostenere chi è debole e lavorare nella vigna del Signore; la nostra mente per pensare e fare progetti alla luce del Vangelo; e, soprattutto, offrire il nostro cuore per amare e prendere decisioni secondo la volontà di Dio. Tutto questo avviene grazie all’azione dello Spirito Santo. E così, siamo gli strumenti di Dio perché Gesù agisca nel mondo attraverso di noi.

Il Papa traccia la via. Lo abbiamo visto tutti ad Assisi, nelle carezze e nei gesti di tenerezza che ha avuto per i disabili dell'istituto Seraphicum. Chiama anche noi a seguire l'umiltà e il coraggio di Maria.

Beata Maria Vergine di Fatima,
con rinnovata gratitudine per la tua presenza materna
uniamo la nostra voce a quella di tutte le generazioni
che ti dicono beata.

Celebriamo in te le grandi opere di Dio,
che mai si stanca di chinarsi con misericordia sull’umanità,
afflitta dal male e ferita dal peccato,
per guarirla e per salvarla.

Accogli con benevolenza di Madre
l’atto di affidamento che oggi facciamo con fiducia,
dinanzi a questa tua immagine a noi tanto cara.
Siamo certi che ognuno di noi è prezioso ai tuoi occhi
e che nulla ti è estraneo di tutto ciò che abita nei nostri cuori.

Ci lasciamo raggiungere dal tuo dolcissimo sguardo
e riceviamo la consolante carezza del tuo sorriso.
Custodisci la nostra vita fra le tue braccia:
benedici e rafforza ogni desiderio di bene;
ravviva e alimenta la fede;
sostieni e illumina la speranza;
suscita e anima la carità;
guida tutti noi nel cammino della santità.

Insegnaci il tuo stesso amore di predilezione
per i piccoli e i poveri,
per gli esclusi e i sofferenti,
per i peccatori e gli smarriti di cuore:
raduna tutti sotto la tua protezione
e tutti consegna al tuo diletto Figlio, il Signore nostro Gesù.
Amen.

lunedì 5 novembre 2012

La Creatività al Potere!

Provo a restituire qualcosa di Don Renato, nella consapevolezza di consegnare soltanto un frammento dei suoi ultimi anni.
Ricordo e catechesi per Don Renato Gargini

A Marina di Massa il vento della mareggiata spazzava la spiaggia e gonfiava le onde. “Don Renato, a questo vento si sala come una sardina!”. Quando i cavalloni si rincorrono in quel modo la salsedine arriva a palate. Ma a don Renato, così mi diceva, piaceva anche quel tempo così burrascoso e antipatico per le attività del Soggiorno estivo dell’Apr. Fissando il mare grigio ricordavamo come anche i santi e i mistici, da Agostino a Caterina da Siena, hanno parlato del mare per parlare di Dio. Don Renato commentava in economia di parole, più assorto nella contemplazione che interessato a intrecciare un ampio discorso. Un tratto sempre più emergente nei suoi ultimi anni, ma sempre custodito. Dalla sua contemplazione, infatti, scaturiva l’urgenza di un’operatività creativa, coinvolta pienamente nella vita e nei drammi degli uomini, che sapeva trarre sintesi inaspettate da immagini, fatti o parole apparentemente sconnessi. Così una riflessione sulla catechesi poteva prendere avvio da un calzino, le vicende geopolitiche della Cina incidere sull’attenzione alla disabilità, George Lemaitre con la sua teoria del Big bang, rimandare alle espressione di uno dei ragazzi del centro. A volte le acrobazie garginiane erano ardue da seguire fino in fondo, ma sempre finalizzate a leggere la complessità della storia alla luce dei piccoli, che poi è la luce di Dio. C’era un retroterra teologico fatto di letture ripetute e profondamente assimilate, come quella di Teilhard de Chardin, per cui tutta la storia dell’umanità è coinvolta in un grandioso cammino evolutivo dove Cristo è cifra e misura fuori-misura della méta. Ma c’era poi la grande mistica spagnola di Giovanni della Croce e la “notte oscura” della fede riletta nei termini delle “oscurità e dei limiti” della vita disabile.

I piccoli con cui don Renato ha condiviso la sua esistenza, chiedevano –ribadiva- l’impegno e l’investimento della Chiesa, attraverso un rinnovato approccio che superasse il pietismo e l’accettazione passiva del male per renderli finalmente protagonisti. Occorreva mettere a frutto i contributi del Concilio e tutta la sua vasta esperienza nella catechesi per operare soluzioni nuove ed incisive. Un’impresa in cui nessuno, con i suoi propri carismi, poteva tirarsi indietro. La consapevolezza di seguire la via giusta lo spingeva a indicare a ciascuno la sua missione personale, a rinforzare i “non puoi, ma devi”, l’invito a fare subito e senza indugi. Celebre il suo “per ieri!” a chi, ingenuamente, chiedeva una scadenza. Il successo, una volta seguite le sue indicazioni, non era garantito e di sicuro il primo tentativo non era quello riuscito.

Ma alla radice del suo agire c’era soprattutto una fede tenace, alimentata da una vita di preghiera profonda e continuativa anche nell’azione operosa. L’Eucarestia era il centro di tutto: il momento di sintesi per eccellenza. Nella messa tutta la vita del centro era coinvolta, tutte le storie, le lacrime e le gioie dei ragazzi e delle loro famiglie. Per i singoli e le famiglie Don Renato aveva un’attenzione speciale, mai pietistica o meramente assistenziale, ma sollecita all’azione battagliera e coraggiosa, finalizzata a ottenere riconoscimenti, sostegno, dalla semplice disponibilità all’ascolto all’impegno pratico per l’acquisto di uno scaldabagno. Con i ragazzi era sempre in attesa dell’evento profetico, del segno con cui interpretare la realtà, dell’insegnamento con cui lasciarsi catechizzare e istruire.

Si potrebbe aggiungere ancora molto, ma a questo punto, preferisco sterzare il discorso verso formulazioni a lui più congeniali. Don Renato mi perdonerà se gli faccio un po’ il verso (non escludo tirate di piedi e bacchettate nel sonno), ma mi sembrava il modo migliore per raccontarlo, intrecciando le immagini con alcune sue citazioni in una sorta di cartellone catechistico.

1.

Come instradarsi verso la pienezza della vita?
Maria ci educa al sì che rivoluziona la nostra esistenza! Pronunciare il proprio sì al Signore nel servizio ai fratelli più piccoli spalanca la vita! La disponibilità al volontariato “è la svolta per uscire da te e ritrovarti più ricco, perdendoti e più capace di non disperdere la tua vita, imparando a donarla”. Così, nella città del consumo e della marginalità, fiorisce un giardino. Qui la vita consegnata al Signore nel servizio si apre allo stupore dell’incontro. Così nasce il canto e la creatività, ci si apre alla responsabilità e all’impegno che chiede ogni vocazione. Qui nasce la bellezza che attrae e chiama alla conversione.

2.

Simone indica la croce. C’era anche lui alla vigilia del Giubileo del 2000, quando nella Cappella dedicata a Maria Madre Nostra nel centro di San Biagio ha sostato la croce del Papa. E’ la croce che accompagna i giovani alle Giornate Mondiali della Gioventù: indicazione sicura per la navigazione sulle rotte della fede. 
Nella “notte oscura” della disabilità, c’è il peso del limite, l’intermittenza o la discontinuità comunicativa, il mistero del dolore, ma anche la via privilegiata per l’unione con Dio. “Come la croce è il momento culminante dell’azione di Cristo, anche l’handicap, vissuto come Croce, può diventare una fonte di crescita dell’umanità”. Guidare i piccoli all’incontro con Dio significa aiutarli a raggiungere la pienezza della vita in Lui e renderli protagonisti dell’evangelizzazione. Nella fede, infatti, si fa sempre più trasparente il mistero che è in loro.



3.

Sulla strada per Valdibrana, nel rigoglio primaverile, è sempre nuova la gioia del pellegrinaggio. Insieme il cammino è più leggero e la meta attrattiva. Sono molteplici la vie del servizio e una parola chiave è comunicazione. Comunicazione che nasce dall’accoglienza e dall’ascolto dei piccoli, dalla necessità di sperimentare linguaggi, sollecitare interesse, rivelare la quotidianità dolorosa e la dedizione delle famiglie con disabili. Ma soprattutto è comunicazione di una gioia possibile e sorprendente, propriamente evangelica. “E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni” (Mt 10, 7-8). Evangelizzazione e guarigione non vanno disgiunte. Anche dall’handicap si può guarire, ma insieme, camminando sulle vie dell’amore.
4.

E’ dolce il volto di Cristo. 
Nel Santo Volto di Manoppello, tanto caro a Don Renato, si vedono, in trasparenza, i segni della passione che ripetono quelli sulla Sindone. Nelle ferite di Cristo si riconoscono le ferite che guastano l’uomo nella disabilità del corpo come in quella del cuore. Ma le ferite si ricompongono nel volto del Vivente che pacifica con lo sguardo sereno e pieno di amore. 
“Il luogo dell’handicap è quello che permette di sognare. La creatività, la novità e la potenza resurrezionale che agita in Cristo la storia dell’uomo contraddistinguono tutto ciò che è o si agita intorno all’handicap”. Molto è stato fatto, la strada spianata, purché l’azione si fondi nella contemplazione. Don Renato l’aveva fatto scrivere sul retro di questo volto, donato in regalo dai ragazzi del centro: “guardandolo cresce l’amore”.



Salato come una sardina, sulla spiaggia di Marina di Massa Don Renato puntava meditabondo il montare delle onde. Oggi lo voglio immaginare come sardina celeste, guizzante tra branchi di santi e ragazzi che l’hanno preceduto, mentre punta dritto verso quel Volto che è abisso d’amore e di creatività infinita.

venerdì 18 maggio 2012

La Madonna della Conversione


Poco più di vent’anni fa Don Renato Gargini, accompagnato da un “giovane lettore”, realizzava per TVL “La Madonna della Conversione”: una bellissima serie di incontri dedicati alla Vergine Maria. Le trasmissioni, che scandivano la devozione mariana del mese di Maggio, proponevano brani poetici di poeti moderni e contemporanei dedicati alla Madonna commentati stupendamente da Mons. Benvenuto Matteucci, allora Arcivescovo emerito di Pisa. Si tratta di una delle ultime testimonianze di Matteucci, ormai malato e prossimo alla morte.

In questi giorni ho trascritto le poesie citate durante queste registrazioni. Vi segnalo il link da cui potete scaricare le citazioni. Sono sicuro che gioveranno alla vostra vita spirituale.




Chi era Benvenuto Matteucci?
Benvenuto Matteucci fu ordinato sacerdote della Chiesa pistoiese il 14 agosto 1932. Successivamente conseguì il dottorato presso l'Università Gregoriana con una tesi su Scipione de' Ricci ed il giansenismo toscano.
Docente di Teologia presso il Seminario di Pistoia dal 1935 al 1938, dovette lasciare l'insegnamento per l’ufficio di parroco presso Poggio alla Malva (Pistoia) fino al 1960. Questi furono anni di intenso studio della letteratura moderna, italiana e straniera, che rivelarono Benvenuto Matteucci come uno dei più originali interpreti espressi dalla cultura cattolica nel secondo dopoguerra. In questi anni egli divenne l'interlocutore privilegiato di molti letterati cattolici o vicini al cattolicesimo, fra cui Giovanni Papini, padre Ernesto Balducci, don Lorenzo Bedeschi e padre Davide Maria Turoldo. Negli anni precedenti al secondo conflitto mondiale era entrato, insieme a Bargellini, Giuliotti, Betocchi, Soffici, Bo e Lisi, nel gruppo di intellettuali fiorentini che si riunivano intorno a «Il Frontespizio». Successivamente collaborò ad alcune importanti riviste tra cui si ricordano «Mal'aria», «Humanitas», «Vita e Pensiero», «Studium», ecc. (molti degli articoli letterari pubblicati in questo periodo sono ora raccolti nella trilogia "Per una teologia delle lettere", Pisa, 1980).
Negli anni del Concilio ecumenico Vaticano II fu incaricato dall'«Osservatore Romano» di redigere quotidianamente la cronaca delle sessioni, incarico che affiancò alla lettura di bollettini quotidiani dai microfoni della Radio vaticana (tali interventi sono ora raccolti nel volume "I giorni del Concilio", Pisa, 1983).
Nel 1968 fu elevato alla dignità episcopale e fu nominato amministratore apostolico "sede plena" dell'Arcidiocesi di Pisa, di cui divenne arcivescovo nel 1971.  Nel 1986 si ritirò a Carmignano, suo paese natale, dove si spense il 16 gennaio 1993.
Tra le sue opere si ricordano: "Scipione de'Ricci. Saggio storico-teologico sul giansenismo italiano", Brescia, 1940; "Fiori d'arancio", in collaborazione con P. Bargellini, Firenze, 1947; "Teologia del dolore", Milano, 1949; "La Madonna nella letteratura", in "Mater Christi", Roma, 1957; "Cultura religiosa e laicismo", Roma, 1960; "Servi della parola", Torino, 1960; "Pensieri di S. Gemma", Lucca, 1961; "La Chiesa nella storia", Pisa, 1983; "La liturgia della parola", Pisa, 1985; "Diario di un Vescovo", Pisa, 1990 e Milano, 1992; "I pensieri del Parroco di San Lorenzo", Firenze, 1998; " 'Diario di un parroco' di Corso Donati", Firenze, 1998.