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martedì 15 dicembre 2009
Gruppi di ascolto della Comunità Maria Madre Nostra all'Aias
lunedì 14 dicembre 2009
Riflessioni di Natale
Ci si avvicina a Natale e i giorni trascorsi a La Verna assieme a Irene hanno portato spunti per riflessioni legate a questo evento. Riflessioni che vorrei condividere con voi.
Innanzitutto, come immagino sappiate, il luogo della nascita è una mangiatoia. Io ho sempre pensato che volesse simboleggiare semplicità e povertà, in realtà mi hanno fatto notare che c'è dell'altro. Gesù nasce a Betlemme, nome che voul dire "casa del pane", in una mangiatoia poiché egli sarà pane di vita. Nasce in una mangiatoia perché il suo destino è quello di essere mangiato. Incredibile, ma io non ci avevo mai pensato e probabilmente non ci sarei mai arrivato se non me l'avesse fatto notare una gentile suora. Eppure si sa che Dio non spreca le sue forze e nulla avviene per caso.
Da qui segue allora un altro ragionamento: queste "Dioincidenze" (termine noto a chi è venuto con me in Etiopia) ci sono nella vita di tutti i giorni? La risposta ovviamente è sì, basta avere occhi per poterle vedere (dice il Piccolo Principe: "Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi").
Non c'è dubbio che viviamo in un periodo di grandi grazie infatti molti sono i Santi moderni che ci hanno lasciato traccia di un cammino da seguire. Dobbiamo imparare da loro per mettere Dio al centro della nostra vita.
Un altro spunto, ce l'ha dato un ragazzo, dicendoci che lui nel presepe, oltre alle varie statuine, ci mette anche il crocifisso. Per lui il Natale rappresenta l'inizio della Pasqua.
Infine il Natale è un periodo molto rumoroso, c'è traffico e la gente si affolla dentro i negozi, per questo è importante riscoprire il valore del silenzio. Silenzio in noi e negli altri.
Stamattina alla mensa dei poveri di Torino c'è stato un po' di trambusto, poiché, complice il freddo, latte e thé sono finiti. Potete immaginare che l'umore di chi vive per strada, dopo vedersi rifutata una tazza di latte, non possa essere dei migliori. In tutto il trambusto però chi ha avuto la peggio è chi è stato silenzioso nel suo tavolo. Alla fine suor Teresa ce l'ha fatto notare: i prepotenti hanno avuto quello che volevano, gli altri sono rimasti a bocca asciutta perché non ci siamo accorti di loro che invece, ultimi tra gli ultimi, avrebbero dovuti essere al centro della nostra attenzione. Vi invito quindi in questi giorni a cercare quelle persone che, in un modo o in un altro, sono silenziose, invisibili. E con ciò naturalmente non mi riferisco solo ai barboni: ognuno ha modo di esprimere il proprio silenzio.
Andrea
martedì 8 dicembre 2009
Avvento 2009
(Le citazioni bibliche sono quelle riportate nei cartigli all'interno delle scene dipinte dal Beato Angelico ed evidenziano la relazione di profezia e compimento tra Antico e Nuovo Testamento)
Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele. Isaia, VII, 14
Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.Luca, I, 30-31
Che cosa può ridare entusiasmo e fiducia, che cosa può incoraggiare l’animo umano a ritrovare il cammino, ad alzare lo sguardo sull’orizzonte, a sognare una vita degna
della sua vocazione se non la bellezza? Voi sapete bene, cari artisti, che l’esperienza del bello, del bello autentico, non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso e della felicità,
perché tale esperienza non allontana dalla realtà, ma, al contrario, porta ad un confronto serrato con il vissuto quotidiano, per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso, bello.
***
Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il
segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre,Principe della pace. Isaia, IX, 5
Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo. Luca, II, 7-6
La via della bellezza ci conduce, dunque, a cogliere il Tutto nel frammento, l’Infinito nel finito, Dio nella storia dell’umanità. Simone Weil scriveva a tal proposito: “In tutto quel che suscita in noi il sentimento puro ed autentico del bello, c’è realmente la presenza di Dio. C’è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno. Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile. Per questo ogni arte di prim’ordine è , per sua essenza,
religiosa”.
***
Circoncidetevi per il Signore, circoncidete il vostro cuore. Geremia IV, 4
Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre. Luca, II, 21
L’autentica bellezza, invece, schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé. Se accettiamo che la bellezza ci tocchi intimamente, ci ferisca, ci apra gli occhi, allora riscopriamo la gioia della visione, della capacità di cogliere il senso profondo del nostro esistere, il Mistero di cui siamo parte e da cui possiamo attingere la pienezza, la felicità, la passione dell’impegno quotidiano.
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Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Matteo I, 11
La bellezza, da quella che si manifesta nel cosmo e nella natura a quella che si esprime attraverso le creazioni artistiche, proprio per la sua caratteristica di aprire e allargare gli orizzonti della coscienza umana, di rimandarla oltre se stessa, di affacciarla sull’abisso dell’Infinito, può diventare una via verso il Trascendente, verso il Mistero ultimo, verso Dio. L’arte, in tutte le sue espressioni, nel momento in cui si confronta con i grandi interrogativi dell’esistenza, con i temi fondamentali da cui deriva il senso del vivere, può assumere una valenza religiosa e trasformarsi in un percorso di profonda
riflessione interiore e di spiritualità.
***
Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l'angelo dell'alleanza, che voisospirate, ecco viene, dice il Signore degli eserciti. Malachia III,1
Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore. Luca 2, 22
Si parla, in proposito, di una via pulchritudinis, una viadella bellezza che sostituisce al tempo stesso un percorso artistico, estetico, e un itinerario di fede, di ricerca teologica. Il teologo Hans Urs von Balthasar apre la sua grande opera intitolata Gloria. Un’estetica teologica con queste suggestive espressioni: “La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola chel’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto”. Osserva poi: “Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma che ha preso congedo in punta di piedi al moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione”. E conclude: “Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è più capace di pregare e, presto,nemmeno di amare”.
***
Ecco, errando fuggirei lontano, abiterei nel deserto. Salmo 55, 8
Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino pern ucciderlo. Matteo, II,
13
La bellezza colpisce, ma proprio così richiama l’uomo al suo destino ultimo, lo rimette in marcia, lo riempie di nuova speranza, gli dona il coraggio di vivere fino in fondo il dono unico dell’esistenza. La ricerca della bellezza di cui parlo, evidentemente, non consiste in alcuna fuga nell’irrazionale o nel mero estetismo.
***
L'Egitto diventerà una desolazione e l'Idumea un brullo deserto per la violenza
contro i figli di Giuda, per il sangue innocente sparso nel loro paese. Gioele
3,19
Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. Matteo 2,16
Il legame profondo tra bellezza e speranza costituiva anche il nucleo essenziale del suggestivo Messaggio che Paolo VI indirizzò agli artisti alla chiusura del Concilio
Ecumenico Vaticano II, l’8 dicembre 1965: “A voi tutti -egli proclamò solennemente - la Chiesa del Concilio dice con la nostra voce: se voi siete gli amici della vera arte, voi siete nostri amici!” (Enchiridion Vaticanum, 1, p. 305). Ed aggiunse: “Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore
degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione. E questo grazie alle vostre mani…
Ricordatevi che siete i custodi della bellezza nel mondo”
(Ibid.).
***
I saggi saranno confusi, sconcertati e presi come in un laccio.Essi hanno rigettato
la parola del Signore,quale sapienza possono avere? Geremia VIII, 9
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio,seduto in mezzo ai dottori, mentre li
ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore
per la sua intelligenza e le sue risposte. Luca, II, 46-47
Cari Artisti, avviandomi alla conclusione, vorrei rivolgervi anch’io, come già fece il mio Predecessore, un cordiale, amichevole ed appassionato appello. Voi siete custodi della bellezza; voi avete, grazie al vostro talento, la possibilità di parlare al cuore dell’umanità, di toccare la sensibilità individuale e collettiva, di suscitare sogni e speranze, di ampliare gli orizzonti della conoscenza e
dell’impegno umano. Siate perciò grati dei doni ricevuti e pienamente consapevoli della grande responsabilità di comunicare la bellezza, di far comunicare nella bellezza e attraverso la bellezza! Siate anche voi, attraverso la vostra arte, annunciatori e testimoni di speranza per l’umanità! E non abbiate paura di confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza, di dialogare con i credenti, con chi,come voi, si sente pellegrino nel mondo e nella storia verso
la Bellezza infinita! La fede non toglie nulla al vostro genio, alla vostra arte, anzi li esalta e li nutre, li incoraggia a varcare la soglia e a contemplare con occhi affascinati e commossi la méta ultima e definitiva, il sole senza tramonto che illumina e fa bello il presente.
lunedì 23 novembre 2009
"COME SI CHIAMI?" Il coraggio della complessità
Qual'è il mio nome di fronte a Isabella che mi scruta seria? Chi sono io davanti a questa piccola bambina che gioca con me? E' il mistero che mi interroga sulle cose essenziali per eccellenza e lo fa con una modalità che sempre mi commuove e mi rapisce in quell'attimo dell'incontro.
Carissimi amici, nell'imminenza del prossimo incontro della Comunità Maria Madre Nostra (il 28 novembre), credo che potrebbe essere utile per tutti noi riflettere sul nostro impegno, sulle finalità e il carisma che ogni giorno ci viene affidato e che deve essere custodito come un tesoro prezioso nelle nostre mani. Per aiutarci nelle nostre meditazioni, pubblico qui di seguito una bella intervista rilasciata da Jean Vanier all'Osservatore Romano una settimana fa.
Vi abbraccio tutti e vi do appuntamento per sabato 28 novembre ore 17.30 circa all'aias.
Il coraggio della complessità
Era la notte di Pasqua 2001. A Lourdes faceva davvero molto freddo. I più fortunati erano riusciti a trovare posto in Chiesa, ma noi, giunti in ritardo, assistemmo alla messa sulla spianata. Eravamo tantissimi, seduti sotto pile e pile di coperte da campo: con il buio e il freddo che aumentavano. A un certo punto, però, diffondendosi come un'onda, un passaparola iniziò a scaldarci tutti. Jean Vanier non era in chiesa: stava seguendo la celebrazione all'addiaccio come noi. In fondo, non poteva essere altrimenti: prima ancora che le parole, sono stati i gesti di quest'uomo ad aver dato senso e bellezza all'esistenza di milioni di persone sparse nel mondo.
La sua vita è caratterizzata da brusche inversioni di rotta. Mi sembra, però, che (sia pure in forme diverse), dalla scelta che lei compì a 12 anni nel 1942 entrando in Marina a ciò che ha scritto dopo l'11 settembre 2001 ritorni sempre il profondo bisogno di costruire la libertà e la pace.
Se dovessi riassumere il suo percorso dall'agosto del 1964 a oggi, sceglierei una frase di Etty Hillesum: "Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio. Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di te".
La sua vita è dedicata alla disabilità mentale, ma il suo messaggio sul valore della diversità vale per ogni differenza: a proposito del massacro in Ruanda, lei ha scritto "uccidere l'altro perché è diverso, significa voler uccidere quella parte di tenebre che ciascuno ha dentro di sé".
Così, abbiamo perso la consapevolezza della nostra comune identità di figli di Dio. Ciascuno di noi è chiamato a essere figlio di Dio. Invece ci creiamo un'identità nazionale o religiosa, e disprezziamo gli altri, li guardiamo dall'alto in basso, non vediamo in loro nulla di buono.
Ha scritto osservazioni molto interessanti sul delirio di onnipotenza dell'uomo di oggi. È un punto su cui ritorna anche Benedetto XVI nell'enciclica "Caritas in veritate", ricordando come la missione della Chiesa sia proprio "una missione da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione".
Usiamo la tecnologia per aiutare le persone a diventare più umane, oppure la usiamo per avere più potere?
Quindi, se usiamo la tecnologia per il potere, se la usiamo per schiacciare le persone, allora noi distruggiamo ciò che è umano. Se invece la usiamo per aiutare le persone a diventare più umane, allora davvero la utilizziamo per crescere nel rispetto e nell'amore per gli altri, e, in particolar modo, per chi è debole e ferito, per chi è diverso. Perché ogni essere umano è prezioso, a prescindere da quelle che siano le sue capacità o le sue incapacità, la sua fede o la sua cultura.
Li ascoltiamo, e sappiamo che non sappiamo cosa fare. È proprio questo il messaggio: voglio parlare con te, ti amo, ma non ho la soluzione per i tuoi dolori, voglio solo accompagnarti. È il segreto di Fede e Luce. Non diamo soluzioni, non abbiamo soluzioni: ma possiamo parlare con loro. È così che si sentiranno compresi, si sentiranno amati e preziosi. Lo ripeto sempre: il cuore della pedagogia dell'Arca è semplicemente quello di dire: sono felice vivendo con te, stando con te. È costruire relazioni che ci uniscono.
Doloroso è anche il rapporto tra la disabilità mentale e la medicina. Prescindendo dalle obiezioni (a volte esplicite, altre implicite) del perché-non-si-è-evitata-quella-nascita, molti medici tendono a fare il minimo indispensabile, a considerare il paziente disabile come un paziente di serie B sul quale vale poco la pena di perdere tempo. A volte è difficile far capire loro che un paziente disabile è un paziente e basta.
Il mondo vuole accettare le persone con disabilità solo se possono essere reinserite, se possono vivere da sole. Molti Stati e molte leggi li accettano solo se possono in qualche modo diventare "normali". Come tutti gli altri. È il rifiuto di accettare le persone semplicemente per quello che sono. Perché non esiste qualcosa come la normalità o l'anormalità: ogni persona è diversa. È fondamentale creare società in cui ciascuno sia visto e sia considerato importante.
Il cammino sembra farsi sempre più difficile man mano che la medicina e il diritto ci forniscono nuove possibilità per eliminare il disabile prima della nascita e per costruire il figlio perfetto. Già nel lontano 1988 lei scriveva che "le manipolazioni genetiche permettono di scegliere il bambino dei nostri sogni e dei nostri calcoli, invece di ricevere il bambino come un dono, nato dall'amore. Oggi, l'uomo e la donna corrono il rischio di essere programmati come dei computer".
Se non mancano le madri che abbandonano i figli disabili, il grande assente è stato e resta a tutt'oggi il padre: sembra quasi che i bimbi disabili siano stati concepiti miracolosamente senza intervento maschile.
Uno dei passaggi che più mi colpiscono del Vangelo è quello in cui Gesù dice: "Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi" (Giovanni, 21, 18).
Diciamo nei prossimi vent'anni!
(Ride) Ne avrò oltre 100! Dobbiamo scoprire la bellezza di ogni realtà. Se siamo nel dolore, dobbiamo cercare di capirne il mistero: questo impariamo all'Arca o in Fede e Luce. Imparare a scoprire che nella debolezza siamo chiamati ad amare e ad andare verso l'amore. C'è una bellissima frase che Giovanni Paolo II pronunciò in Vaticano nel gennaio 2004: le persone disabili possono diventare araldi di un mondo nuovo. Possono insegnarci la via verso l'amore e la solidarietà. È il mistero. Per le persone intrappolate nell'efficienza, tese a raggiungere la sommità della scala, è difficile scoprire il mistero dell'umiltà e della relazione.
sabato 21 novembre 2009
Verso la beatificazione di Giovanni Paolo II
Karol Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II |
Il «flagellante» Karol Wojtyla. Tra le migliaia di pagine all’esame in Vaticano per proclamare beato Giovanni Paolo II, figura una straordinaria testimonianza di suor Tobiana Sobódka, la superiora delle suore polacche «Ancelle del Sacro Cuore di Gesù» che prestavano servizio nell’appartamento pontificio e accudivano il Papa.
La deposizione della religiosa rivela nella «positio» che Karol Wojtyla si sottoponeva a penitenze corporali e getta nuova luce sul rapporto stretto di natura mistica che legava Wojtyla alla fede. Lunedì scorso si è svolta la riunione dei cardinali e dei vescovi membri della Congregazione delle cause dei santi, chiamati a esaminare la causa di beatificazione. L’esito della riunione è stato positivo e i cardinali si sono unanimemente espressi in favore della proclamazione dell’eroicità delle virtù del Pontefice polacco.
«Molto spesso si sottoponeva a penitenze corporali. Lo sentivamo, a Castel Gandolfo avevo la camera piuttosto vicina alla sua. Si avvertiva il suono dei colpi quando si flagellava. Lo faceva quando era ancora in grado di muoversi da solo», svela la religiosa polacca nella ricostruzione contenuta nel libro «Santo subito» del vaticanista Andrea Tornielli. Dunque Giovanni Paolo II, che aveva perso tutta la famiglia prima di diventare sacerdote e aveva subito l’attentato del 1981, si infliggeva anche penitenze corporali, flagellandosi.
Le penitenze di Wojtyla sono confermate anche da un altro testimone privilegiato, il vescovo africano Emery Kabongo, per alcuni anni secondo segretario di Giovanni Paolo II. «Faceva penitenza - racconta - e la faceva in modo particolare prima delle ordinazioni episcopali o sacerdotali. Prima di trasmettere agli altri i sacramenti desiderava prepararsi. Non sono stato testimone diretto di penitenze corporali, ma mi è stato raccontato che vi si sottoponeva». Inoltre, continua il prelato, «quando Karol Wojtyla pregava non era distratto da nulla. Ricordo che quando presi servizio nell’appartamento papale, mi venne subito spiegato che quando il Santo Padre stava pregando, anche se si trattava di qualcosa di importante, bisognava aspettare per avvertirlo, perché per lui la preghiera veniva prima di tutto.
«Prima c’era Dio, poi tutto il resto, compresi i problemi del mondo». Insomma, sottolinea Kabongo nel libro di Tornielli, «quando Wojtyla pregava, pregava come qualcuno che sa davvero di che cosa si tratta. Si immergeva in Dio, dialogava con Dio». Un «Wojtyla privato» noto anche al suo fotografo personale, Arturo Mari dell’«Osservatore Romano». «Pregava in cappella, ma anche seduto sulla poltrona, nei cosiddetti momenti di riposo che per lui non sono mai stati tali - rievoca Mari-. Pregava quando moriva qualcuno: per un amico, una persona conosciuta, o le vittime di un attentato o di un incidente. Pregava quando veniva a sapere che da qualche parte la situazione politica era grave, quando scoppiava una guerra. Pregava quando aveva un problema, quando gli arrivava qualche brutta notizia su una situazione da risolvere. Andava in cappella e ci rimaneva fin quando non aveva risolto la questione».
Pregava molto anche nei Paesi che andava a visitare. «I suoi raccoglimenti li consideravo come momenti di preghiera per i problemi della gente del posto. Sembrava che si immedesimasse in loro, nelle loro sofferenze. Mi ricordo che a Vilnius è rimasto a pregare in ginocchio per sei ore, senza sosta», conclude Mari.
martedì 10 novembre 2009
VIDEO!
grazie per la partecipazione al nostro ultimo incontro!
Domenica scorsa 8 novembre -grazie a Martina - i volontari si sono potuti incontrare per condividere opinioni, suggerimenti, problemi sul soggiorno estivo del Mare. Somo emerse tante proposte, ma soprattutto l'esigenza di un rapporto più stretto con i ragazzi del centro. Tanti sono rimasti profondamente colpiti dall'esperienza al mare: un momento di stupore, di crescita, di gioia e di festa: l'occasione di stringere amicizia e di conoscere "il continente handicap".
Conoscere le famiglie, incontrarsi durante l'anno, creare momenti di formazione e di condivisione durante l'anno: queste alcune delle proposte emerse nell'incontro. Come può rispondere la nostra Associazione?
Possiamo fare molto anche con..la televisione! Abbiamo bisogno, però, di nuove forze per la nostra trasmissione : "Ora Insieme"!
Aiutateci con i vostri suggerimenti e commenti. Grazie a Daniel, Irene e Benedetta per le ultime puntate..
Qui l'ultima :
http://www.tvl.it/orainsieme/index.html
Su NO PARKNG, i vlog del laboratorio multimediale dell'AIAS, è possibile vedere il rendering del nuovo progetto per il Centro AIAS di San Biagio!
http://aiaspistoia.wordpress.com/
Presto nuovi aggiornamenti e l'appuntamento al prossimo incontro di fine novembre!
lunedì 12 ottobre 2009
NUOVO INCONTRO..PASSATE CONSIDERAZIONI
in primo luogo vi ringrazio per la vostra presenza alla riunione di Sabato 26 settembre, per le vostre parole e le vostre preghiere.
Abbiamo fissato il prossimo incontro Sabato 24 ottobre 2009, come al solito presso l’AIAS di San Biagio alle ore 17.30. Seguirà momento conviviale in luogo da definirsi (i presenti sono invitati a segnalarmi la loro presenza).
In questi giorni, ripensando alla riunione precedente, ho cercato di mettere in fila alcune considerazioni sulla nostra esperienza, ma anche prospettive per il nostro cammino. Fatemi sapere il vostro pensiero e le vostre riflessioni.
La prima considerazione è, in realtà, il ringraziamento per la dimensione comunitaria della vita di fede che ho sperimentato all’AIAS, una comunione gioiosa e sempre sorprendente, tanto sorprendente che mi ha condotto fin qui, nel seminario di Firenze da cui vi penso e scrivo.
Mi sembra necessario, inoltre, ribadire quanto sia importante rimanere in ascolto e nella giusta predisposizione d’animo attraverso un servizio umile e continuato, anche piccolo. E’ attraverso il servizio che ci apriamo alla conoscenza dei ragazzi. Conoscerli significa entrare nell’amicizia di Dio, aprire i nostri occhi sugli altri e su noi stessi. Da loro scaturisce un deciso ribaltamento nel nostro modo di pensare che conduce alla vera gioia. Scopriamo i nostri handicap e i nostri limiti, quelle disabilità della mente e del cuore che tutti, più o meno evidentemente, portiamo dentro di noi.
La scoperta della gioia, della festa “insieme”, è il punto di partenza per aprirsi all’accoglienza e annunciare la novità del Vangelo, specialmente a coloro che hanno perso il gusto e il senso della vita, che sono perennemente insoddisfatti, lontani da Dio o intiepiditi nella fede. Stando con i ragazzi impareremo il linguaggio di Dio e anche la Parola acquisterà una diversa profondità. In questi giorni si stanno organizzando nella Diocesi i “Gruppi di ascolto della Parola”. Che ruolo possono avere i ragazzi in questa proposta?
C’è un libro che Diego ci ha già proposto durante un’omelia domenicale, ma che vi invito a leggere: Adam, amato da Dio, di Henry J. M. Nouwen, Ed. Queriniana.
L’autore, forse, l’avete già sentito o avrete già letto qualche suo libro, perché è uno degli autori di spiritualità più tradotti nel mondo. Il libro, però, ha un taglio decisamente particolare e descrive l’amicizia del sacerdote-scrittore con Adam Arnett, giovane disabile ospitato in una comunità de l’Arche di Toronto. Attraverso Adam, Nouwen riconosce e ripercorre la vicenda di Gesù e descrive un inaspettato quanto radicale cambiamento che ha toccato la sua vita. Non anticipo altro, ma mi sembra significativo citare qui alcuni passaggi di questo volume:
“Adam poteva pregare? Sapeva chi è Dio e che cosa significa il nome di Gesù? Comprendeva il mistero di Dio tra noi? Per lungo tempo ho riflettuto su queste domande. Per molto tempo mi sono chiesto con curiosità quanto Adam potesse sapere di quello che io sapevo e quanto potesse comprendere di quello che io comprendevo. Ora vedo che per me queste erano domande ‘dal basso’, domande che riflettevano più la mia ansia e la mia incertezza che l’amore di Dio. Le domande di Dio, le domande ‘dall’altro’ erano: “Puoi lasciare che Adam ti guidi nella preghiera? Puoi credere che sono in profonda comunione con Adam e che la sua vita è una preghiera? Puoi lasciare che Adam sia una preghiera vivente alla tua tavola? Puoi vedere il mio volto nel volto di Adam?”
Le esperienze di festa e comunione delle GMG, gli incontri settimanali o gli eventi diocesani che abbiamo condiviso hanno fatto emergere, e continuano a evidenziare, ciò che possono trasmettere i ragazzi con la loro semplice esistenza, ribadiscono la straordinaria intensità comunicativa del mistero che essi vivono.
La spiritualità che trasmettono i ragazzi è talmente forte che chi impara ad ascoltarli e conoscerli comprende, come ha intuito anche padre Marko Ivan Rupnik (il mosaicista-teologo che ha realizzato i mosaici nella cripta di San Giovanni Rotondo, nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano, ma anche nella Basilica del Santo Rosario di Lourdes e che “prossimamente” realizzerà anche i mosaici..nella nuova cappella dell’AIAS di San Biagio!), quanto spesso siano in grado di presentare anche più complessi concetti teologici. Si tratta di un talento da valorizzare sempre di più attraverso i loro disegni, le loro parole, i canti, i balli, le loro carezze o i loro silenzi, le loro stesse difficoltà, la loro semplice esistenza.
Nelle ultime pagine del libro di Nouwen si legge : “Ho cercato di scrivere semplicemeente e direttamente per quanto mi era possibile. Sono un testimone della verità di Adam. So che non avrei potuto raccontare la storia di Adam, se non avessi prima conosciuto la storia di Gesù. La storia di Gesù mi ha dato gli occhi per vedere e gli orecchi per udire la storia della vita e della morte di Adam”.
Soltanto in Cristo siamo rivelati pienamenti a noi stessi e il mistero della croce è una via misteriosa e privilegiata. Una via che racchiude inaspettati segni di conversione e di testimonianza: a questo proposito rimando all’invito alla preghiera suggeritoci dall’Irene per Caterina, la figlia ventiquattrenne di Antonio Socci, in coma per un arresto cardiaco.
Quanto abbiamo conosciuto non può essere trattenuto per noi, lo abbiamo anche ripetuto al nostro incontro: è necessario aprirsi e non rimanere chiusi tra noi, raccontare “l’università” dell’handicap attraverso la televisione e gli altri strumenti della comunicazione, coinvolgere sempre più famiglie e volontari, anche coloro che apparentemente non vivono se non superficialmente, la realtà della fede. Il Signore farà il resto.
Creiamo sempre più comunione e condivisione tra noi, a partire dal nostro stare con Dio in mezzo ai ragazzi e le loro famiglie. Con quali modalità? Pensiamoci insieme…
C’è un ultimo aspetto che mi piace recuperare, ancora una volta dal libro di Nouwen, Adam, amato da Dio. E’ un brano che parla di noi, della comunità che, con tutti i suoi limiti, prova a vivere accanto ai disabili:
“La totale dipendenza di Adam gli rendeva possibile vivere pienamente soltanto se viveva in una comunità d’amore attorno a lui. Il grade insegnamento che ci ha dato era: “posso vivere soltanto se mi circondate d’amore e se vi amate gli uni gli altri. Altrimenti, la mia vita è inutile e io sono un peso”. Adam ci sfidava chiaramente a confidare che quella compassione, quella mancanza di competizione, è la via per adempiere la nostra vocazione umana. Questa sfida ci costringeva a riesaminare tutti i presupposti fondamentali della nostra vita individuale”.
Cari amici,
teniamoci uniti nella preghiera..vi do appuntamento al prossimo incontro!
giovedì 8 ottobre 2009
La Fede
penso che siate a conoscenza della tragica storia di Caterina, la figlia del giornalista Antonio Socci. Si trova in coma all'ospedale di Careggi a Firenze dal 12 settembre, dopo che un infarto improvviso le ha bloccato il cuore. Ha 24 anni - più o meno l'età media del nostro gruppo giovani - e si sarebbe dovuta laureare dopo pochi giorni dall'infarto in architettura. E' una ragazza come tante, con le speranze e desideri racchiusi nel cuore, che vive in pienezza la fede e la gioia di essere con Lui. Altre notizie le potete trovare sul blog Lo straniero.
Ho deciso di pubblicare sul nostro blog l'ultima cosa che suo padre ha scritto, l'ho appena letta e ho le lacrime agli occhi per la commozione.
Non riesco ad aggiungere altro se non il titolo di questo post, la fede.
Con affetto,
Irene
La mia speranza per Caterina
Vi ringrazio ancora, dal profondo del cuore, per tutto il vostro affetto, le vostre preghiere incessanti e le vostre commoventi offerte di sacrifici: vi sarò debitore per tutta la vita.
Riporto qua sotto ciò che ho scritto a Maurizio Belpietro, Direttore di Libero, il giornale a cui collaboro, su questi giorni che ci aspettano.
la mia Caterina ha occhi bellissimi. La sua giovinezza ora è distesa su un letto di luce e di dolore. E’ come una Bella addormentata. Ma crocifissa. Mi trovo involontariamente “inviato” nelle regioni del dolore estremo e in questo panorama dolente – se un angelo tiene a guinzaglio l’angoscia – ci sono diverse cose che mi pare di cominciare a capire.
La prima notizia è che il mio cuore batte. Il nostro cuore continua a battere. So bene che normalmente la cosa non fa notizia. Neanche la si considera. Finché non capita che a tua figlia, nei suoi 24 anni raggianti di vita, alla vigilia della laurea in architettura per cui ha studiato cinque anni, d’improvviso una sera il cuore si ferma e senza alcuna ragione. Si ferma di colpo (o, come dicono, va in fibrillazione).
Lì, quando ti si spalanca davanti quell’abisso improvviso che ti fa urlare uno sconfinato “nooooo!!!”, cominci a capire: è la cosa meno scontata del mondo che in questo preciso istante il cuore dei tuoi bimbi, il mio cuore o il tuo, amico lettore, batta.
Quante volte ho sentito don Giussani stupirci con questa evidenza: che nessuno fa battere volontariamente il proprio cuore. E’ come un dono che si riceve di continuo, senza accorgersi. Istante per istante dipendiamo da Qualcun Altro che ci dà vita…
C’illudiamo di possedere mille cose e di essere chissacchì, ma così clamorosamente non possediamo noi stessi. Un Altro ci fa. In ogni attimo. Vengono le vertigini a pensarci. Allora si può solo mendicare, come poveri che non hanno nulla, neanche se stessi, un altro battito e un altro respiro ancora dal Signore della vita (“Gesù nostro respiro”, diceva una grande santo).
Certo, si ricorre a tutti i mezzi umani e a tutte le cure mediche. Che oggi sono eccezionali e personalmente devo ringraziare degli ottimi medici, competenti e umani. Ma anch’essi sanno di avere poteri limitati, non possono arrivare all’impossibile, non potrebbero nulla se non fosse concesso dall’alto e poi se non fossero “illuminati” e guidati.
Rex tremendae majestatis… E’ Lui il padrone e la fonte della vita e di ogni cosa che è. E i nostri bambini e le nostre figlie sono suoi. E’ teneramente loro Padre. Allora – con tutte le nostre pretese annichilite e l’anima straziata – ci si scopre poveri di tutto a mendicare la vita da “Colui che esaudisce le preghiere…”.
Mendico di poter riavere un sorriso da mia figlia, uno sguardo, una parola… D’improvviso ciò che sembrava la cosa più ovvia e scontata del mondo, ti appare come la più preziosa e quasi un sogno impossibile… Son pronto a dare tutto, tutto quello che ho, tutto quello che so e che sono, darei la vita stessa per quel tesoro.
Ci affanniamo sempre per mille cause, obiettivi, ambizioni che ci sembrano così importanti da farci trascurare i figli. Ma oggi come appare tutto senza alcun valore al confronto dello sguardo di una figlia, alla sua giovinezza in piena fioritura…
Un gran dono ha fatto Dio agli uomini rendendoli padri e madri: così tutti possono sperimentare che significhi amare un’altra creatura più di se stessi. E così abbiamo una pallida idea del suo amore e della sua compassione per noi…
Caterina è una Sua prediletta, come tutti coloro che soffrono. Mi tornano in mente le parole di quella canzone spagnola cantata splendidamente dalla mia principessa e dedicata alla Madonna, “Ojos de cielo”, che dice: “Occhi di Cielo, occhi di Cielo/ non abbandonarmi in pieno volo”.
Riascolto il suo canto, con il nodo alla gola, come la sua preghiera: “Se guardo il fondo dei tuoi occhi teneri/ mi si cancella il mondo con tutto il suo inferno./ Mi si cancella il mondo e scopro il cielo/ quando mi tuffo nei tuoi occhi teneri./ Occhi di cielo, occhi di cielo,/ non abbandonarmi in pieno volo./ Occhi di cielo, occhi di cielo,/ tutta la mia vita per questo sogno…/ Se io mi dimenticassi di ciò che è vero/ se io mi allontanassi da ciò che è sincero/ i tuoi occhi di cielo me lo ricorderebbero,/ se io mi allontanassi dal vero./ Occhi di cielo..”.
E infine quell’ultima strofa che oggi suona come un presagio: “Se il sole che mi illumina un giorno si spegnesse/ e una notte buia vincesse sulla mia vita,/ i tuoi occhi di cielo mi illuminerebbero,/ i tuoi occhi sinceri, che sono per me cammino e guida./ Occhi di cielo…”.
E’ con questa speranza certa che subito ho affidato il mio tesoro e la sua guarigione nelle mani della sua tenera Madre del Cielo. Per le parole, chiare e intramontabili di Gesù che ci incitano “chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”, che promettono “qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome, egli ve la darà” e che esortano a implorare senza stancarsi mai come la vedova importuna del Vangelo (che – se non altro per la sua insistenza – verrà esaudita).
Sappiamo che la Regina del Cielo è con noi: pronta ad aprirci le porte dei forzieri delle grazie. E’ lei infatti il rifugio degli afflitti e la nostra meravigliosa Avvocata che può ottenere tutto dal Figlio. Già il primo miracolo, a Cana, gli fu dolcemente “rubato” da lei che ebbe pietà di quella povera gente…
In questi giorni ho ricordato le pagine del Monfort e quelle di s. Alfonso Maria de’ Liguori, “Le glorie di Maria”. E’ stupefacente come duemila anni di santi e di sante ci invitano a essere certi del soccorso della Madonna perché “non si è mai sentito che qualcuno sia ricorso alla tua protezione, abbia implorato il tuo aiuto, abbia cercato il tuo soccorso e sia stato abbandonato” (S. Bernardo).
“Ogni bene, ogni aiuto, ogni grazia che gli uomini hanno ricevuto e riceveranno da Dio sino alla fine del mondo, tutto è venuto e verrà loro per intercessione e per mezzo di Maria” (s. Alfonso), perché così Dio ha voluto.
Infatti “nelle afflizioni tu consoli” chi in te confida, “nei pericoli tu soccorri” chi ti chiama: tu “speranza dei disperati e soccorso degli abbandonati”. Misero me se non la riconoscessi come Madre, convertendomi (questo significa: “sia fatta la tua volontà”) e lasciandomi guarire nell’anima. Per ottenere anche la guarigione del corpo.
Ma quanto è commovente accorgersi di avere una simile Madre quando si sente concretamente il suo mantello protettivo fatto dai tanti fratelli e sorelle nella fede, pronti ad aiutarti, dai giovani amici di Caterina, bei volti luminosi che condividono l’esperienza cristiana suscitata da don Giussani, dai tantissimi amici di parrocchie, comunità, dagli innumerevoli conventi di clausura e santuari – compresi radio e internet – dove in questi giorni si implora la Madonna per Caterina. Come non commuoversi?
Ho ricevuto decine di mail anche da persone lontane dalla fede che, per la commozione della vicenda di mia figlia, sono tornate a pregare, si sono riaccostate ai sacramenti dopo anni. E hanno compreso di avere una Madre buona che si può implorare e che non delude.
Ma è anzitutto della mia conversione che voglio parlare. Ci è chiesto un distacco totale da tutto ciò che non vale e non dura. Perché solo Dio non passa. Cioè resta l’amore.
Così quando ho saputo dei 4 mila bambini malati di un lebbrosario in India che, con i missionari (uomini di Dio stupendi e immensi), hanno pregato per la guarigione di Caterina, dopo l’emozione ho capito che quei bimbi da oggi fanno parte di me, della mia vita e della mia famiglia.
E così pure i poveri moribondi curati da padre Aldo Trento in Paraguay che hanno offerto le loro sofferenze per Caterina. Voglio aiutarli come posso.
Portando tutto il dolore del mondo sotto il mantello della Madre di Dio, affido a lei la guarigione di Caterina, perché torni a cantare “Ojos de cielo” per tutti i poveri della nostra Regina.
“Mia Signora, tu sola sei la consolazione che Dio mi ha donato, la guida del mio pellegrinaggio, la forza della mia debolezza, la ricchezza della mia miseria, la guarigione delle mie ferite, il sollievo dei miei dolori, la liberazione dalle mie catene, la speranza della mia salvezza: esaudisci le mie suppliche, abbi pietà dei miei sospiri, tu che se la mia regina, il rifugio, l’aiuto, la vita, la speranza e la mia forza” (S. Germano).
Antonio Socci
fonte: Libero (c) 6 ottobre 2009
martedì 15 settembre 2009
Prospettive Future..prossime
La recente Settimana Teologica ha portato all'attenzione una questione apparentemente astrusa e quasi fantascientifica, il tema, cioè, dell'immortalità terrena. Lo spunto è offerto dal recente libro di Andrea Vaccaro: "L'ultimo esorcismo. Filosofie dell'immortalità dell'anima" EDB, 2009.
"La sigla GNR Revolution" cito dal retro di copertina del libro di Andrea Vaccaro "viene usata per indicare la radicalità degli interventi sul fisico umano resi oggi possibili dalla combinazione di Genetica, Nanotecnologia, e Robotica. Con gli studi avanzati sulla decodificazione genetica, con l'informatizzazione della biologia che penetra nelle dinamiche cellulari più intime e con i dispositivi nanomedici che promettono la riparazione a livello atomico dell'organismo umano, la previsione che tutte le cause di malattia, e quindi di morte, saranno sbaragliate è venuta giocoforza a imporsi".
Se mai vedremo un simile risultato non è dato sapersi, ma è certo che prospettive simili non appaiono così fantasiose: "A recare la notizia che l'essere umano sarà "per natura" immortale non è qualche spititoso o giovane patito di cyber-cultura. sono vincitori di premi Nobel, direttori dei più rinomati istituti di ricerca, docenti delle più prestigiose università, tecnologi, scienziati e informatici".
L'estensione "radicale della vita" è forse un risultato non troppo lontano, di sicuro un obiettivo ricercato a fondo dai "geni" del nostro tempo. Vivere come se fossimo immortali è, invece, una caratteristica già diffusa dei nostri giorni, come se perdurasse un'eterna giovinezza in cui ogni desiderio è soddisfabile. C'è in gioco, mi pare, il concetto stesso di vita, di cui così a lungo si è discusso per il caso di Eluana Englaro. In un futuro, ma anche in un presente dove la morte può essere procrastinata quasi a piacimento, la morte naturale tenderà sempre più a scomparire fino a introdurre nuove drammatiche possibilità: ad esempio "la morte negoziale", di cui ha parlato in occasione della Settimana Teologica il filosofo Aldo Schiavone. Presto sarà dunque senz'altro possibile parlare anche di una "nascita negoziale", stabilita a tavolino valutando prerogative o "difetti" del nascituro. Ne consegue la terribile piaga dell'aborto selettivo, che negli Stati Uniti, per esempio, ha già sottratto alla vita migliaia di bambini con sindrome di down.
Se il concetto di vita si lega in maniera sempre più sottile e diffusa al concetto di "desiderio", alla capacità di disporre desiderio, se la vita è ciò che posso pianificare, personalizzare a mio piacimento, che vita è la vita debole, la vita disabile? Le prospettive dell'immortalità terrena appaiono lontane, e c'è da sperare che quando tutto questo avverrà la scienza avrà trovato soluzione anche alle malattie e all'handicap..ma nel frattempo la realtà della "vita debole" sarà sempre più sulla frontiera.
Capita dunque a proposito una bella iniziativa programmata per il 2 ottobre p.v. all'Auditorium di Pistoia dal titolo : "Lo Splendore della Vita in tutta l'esistenza dell'uomo". Parteciperanno all'incontro, cui ha collaborato anche l'AIAS di Pistoia, il dottor Giuseppe Noia (esperto della vita prenatale) e il dottor Giuseppe Melazzini (presidente dell'Associazione AISLA per la Sclerosi Laterale Amiotrofica, egli stesso affetto da SLA).
Un incontro da non perdere e su cui varrà la pena riflettere.
Mi sentivo di spendere tutte queste parole perchè ci aiutino a centrare meglio il carisma della nostra associazione. L'esistenza dei ragazzi del centro, con la loro sofferenza, ma anche con il loro sorriso e la gioia pura e fresca che riescono a trasmettere, è un dono da valorizzare e far conoscere sempre di più. Il miracolo che scaturisce nel servizio, nella logica del dono di sè e nell'amore, vale tutta la tecnologia del mondo!
La bellezza che percepiscono al mare e al centro i volontari è la conferma di tutto questo. La dimensione del dono di sè è fondamentale. Viene da domandarsi: dono di chi? Di chi serve o di chi è servito? La capacità di riconoscerlo e accoglierlo, la qualità "terapeutica" che ne scaturisce sono tutti aspetti che dobbiamo meditare a fondo e proporre all'attenzione di tutti. E' quello che ha fatto Gesù, facendo di sè stesso dono per l'umanità.
Molti di questi temi sono affrontati anche nella recente Enciclica di Benedetto XVI "Caritas in Veritate".
Scrive il Santo Padre: "in ogni conoscenza e in ogni atto d'amore l'anima dell'uomo sperimenta un "di più" che assomiglia molto a un dono ricevuto, ad un'altezza a cui ci sentiamo elevati. Anche lo sviluppo dell'uomo e dei popoli si colloca a una simile altezza, se consideriamo la dimensione spirituale che deve connotare necessariamente tale sviluppo perchè possa essere autentico. Esso richiede occhi nuovi e un cuore nuovo, in grado di superare la visione materialistica degli avvenimenti umani e di intravedere nello sviluppo un "oltre" che la tecnica non può dare. Su questa via sarà possibile perseguire quello sviluppo umano integrale che ha il suo criterio orientatore nella forza propulsiva della carità nella verità".
Quel "di più" di cui parla il Papa si coglie specialmente all'università dell'handicap e diventa una porta spalancata alla speranza, alla gioia, a quello "sviluppo umano integrale" di cui parla il Papa. La presenza di Dio nella sofferenza e nel mistero della disabilità può offrire davvero "occhi nuovi e un cuore nuovo". E' una presenza che cambia ogni cosa e che è necessario annunciare a tutti, forse anche con l'atteggiamento del Re Davide che alla presenza dell'Arca "danzava con tutte le forze davanti al Signore"; un'esperienza che i ragazzi del Centro vivono quotidianamente!
domenica 16 agosto 2009
TERRA SANTA
In realtà soltanto in Lui si esaurisce la molteplicità dei linguaggi, è Lui il maestro della Comunicazione che completa in sé ogni forma d’espressione. Eppure in Terra Santa il pellegrino avverte che il Signore è più loquace e, mettendosi in viaggio, desidera che parli con più evidenza là dove è vissuto, morto e risorto.
Anche noi abbiamo percorso le rotte e i sentieri dei pellegrini. Abbiamo sostato in preghiera davanti alla grotta di Nazareth, esplorato le rovine di Cafarnao in cerca della sua casa e della strada calpestata dai suoi passi. Abbiamo navigato sul lago di Tiberiade, su quelle acque a cui ha ordinato la quiete e sopra le quali ha camminato. Abbiamo cercato segni del Signore nelle placide acque del Giordano e nello scosceso e sassoso deserto di Giuda.
Come le innumerevoli schiere di pellegrini che ci hanno preceduto nei secoli ci siamo inchinati di fronte alla stella nella grotta di Betlemme, sostato in silenzio sul Golgota fino contemplare in preghiera di fronte al Santo Sepolcro.
Attorno si estende oggi una geografia segnata dalla guerra, dai contrasti tra religioni e i popoli. Ci siamo scandalizzati per i muri che dividono e la miseria dello status quo che regge la cura della Basilica della Natività o del Santo Sepolcro.
Con quale linguaggio e attraverso quali segni ci parla dunque il Signore?
Di fronte al Santo Sepolcro il Signore ci chiama per nome, come la Maddalena che credeva di parlare con il custode del giardino.
“Gesù le disse: "Maria!". Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: "Rabbunì!", che significa: Maestro!”
Dinanzi al sepolcro siamo chiamati per nome. Dio ci fa trovare noi stessi e, aprendoci gli occhi, ci rivela, ancora una volta, che Lui ci ama per primo. Fino dall’eternità ha pronunciato il nostro nome, ci ha amati per primo appassionatamente.
Il vero pellegrinaggio, inesausto e paziente, è quello del Signore che viene in cerca del nostro cuore e non cessa di chiamarci per nome.
Ecco come parla il Signore! Parla attraverso l’amore, la lingua che esaurisce tutti i linguaggi e che attraversa tutti i tempi e i continenti, compreso quello della disabilità.
La precedenza dell’amore divino schiude allora tutta la ricchezza della Parola di Dio, attraversa la storia di Israele, le alleanze e i tradimenti del popolo eletto, dona sostanza viva alle profezie e alle preghiere. Non è lo studio o l’ingegno, la perspicacia o l’intuizione brillante a svelarci il linguaggio di Dio.
La precedenza dell’amore divino dona nuova luce alle tappe del nostro pellegrinaggio. A Nazareth l’angelo ha chiamato per nome una ragazza semplice e umile che abitava in una povera grotta, in un luogo lontano oggi come allora, rivelandole un disegno inaspettato e grandioso. Attraverso l’angelo Dio ha annunciato le meraviglie del suo amore, ma prima ha chiesto di essere accettato e riconosciuto. E in attesa di quel sì il suo anelito d’amore è sceso fino alle profondità della terra, fino alla miseria di una casa scavata nella roccia per entrare nella Storia.
La grotta di Betlemme ci ha raccontato un fatto semplice e bello: la nascita di un bambino nella povertà di una grotta, l’amore più grande che si fa così piccolo e indifeso da chiedere il nostro abbraccio, il tepore di un bue e di un asinello.
Sulla roccia del Golgota il Dio fatto uomo ha preso su di sé tutto il male e la sofferenza del mondo per amarci fino alla fine e dimostrarci qual è l’amore più grande. Le pietre su cui oggi poggia un altare e una chiesa intera sono quelle toccate dalle gocce del Suo sangue, mute testimoni della sua passione. In quegli attimi – è da allora che quella roccia mostra una spaccatura profonda - già ci amava. Il Suo corpo sulla croce era fin da allora offerto in sacrificio per noi.
A conclusione del nostro pellegrinaggio è stato proprio lo Spirito a manifestarsi attraverso la trasparenza dei ragazzi ed a parlare il linguaggio dell’esultanza e della lode. A Jaffa, nella chiesa di San Pietro, dove si ricorda la discesa dello Spirito Santo sul pagano centurione Cornelio e il definitivo aprirsi del Vangelo all’umanità intera, lo Spirito torna ad ampliare i confini del linguaggio e del pensiero, raccogliendo l’intera creazione, così come accadeva in principio, quando lo Spirito di Dio aleggiave sulle acque.
Il ballo della Tiziana e della Beatrice è stato, ancora una volta, il segno che lo Spirito passa anche attraverso quelle realtà che l’uomo considera malattia, errore, oscurità. La Croce infissa sul Golgota è accesa dal mistero luminoso della resurrezione. La croce del risorto diventa segnale irrinunciabile della precedenza e dell’infinita grandezza dell’amore divino. E’ un fatto che è dentro la storia e che dall’interno l’ha cambiata per sempre.
Arrivati a Gerusalemme il Signore, con il suo Spirito, ci chiama dunque per nome. Anche chi non sa leggere o comprendere le lingue percepisce il linguaggio di Dio, anzi, diventa tutt’uno con esso. Perché è anche attraverso i nostri nomi che lo Spirito parla, suscita il canto e la danza e indica terre non meno sante di quella in cui ha vissuto.