Ricordo e catechesi per Don Renato Gargini
A Marina di Massa il vento della mareggiata spazzava la spiaggia e gonfiava le onde. “Don Renato, a questo vento si sala come una sardina!”. Quando i cavalloni si rincorrono in quel modo la salsedine arriva a palate. Ma a don Renato, così mi diceva, piaceva anche quel tempo così burrascoso e antipatico per le attività del Soggiorno estivo dell’Apr. Fissando il mare grigio ricordavamo come anche i santi e i mistici, da Agostino a Caterina da Siena, hanno parlato del mare per parlare di Dio. Don Renato commentava in economia di parole, più assorto nella contemplazione che interessato a intrecciare un ampio discorso. Un tratto sempre più emergente nei suoi ultimi anni, ma sempre custodito. Dalla sua contemplazione, infatti, scaturiva l’urgenza di un’operatività creativa, coinvolta pienamente nella vita e nei drammi degli uomini, che sapeva trarre sintesi inaspettate da immagini, fatti o parole apparentemente sconnessi. Così una riflessione sulla catechesi poteva prendere avvio da un calzino, le vicende geopolitiche della Cina incidere sull’attenzione alla disabilità, George Lemaitre con la sua teoria del Big bang, rimandare alle espressione di uno dei ragazzi del centro. A volte le acrobazie garginiane erano ardue da seguire fino in fondo, ma sempre finalizzate a leggere la complessità della storia alla luce dei piccoli, che poi è la luce di Dio. C’era un retroterra teologico fatto di letture ripetute e profondamente assimilate, come quella di Teilhard de Chardin, per cui tutta la storia dell’umanità è coinvolta in un grandioso cammino evolutivo dove Cristo è cifra e misura fuori-misura della méta. Ma c’era poi la grande mistica spagnola di Giovanni della Croce e la “notte oscura” della fede riletta nei termini delle “oscurità e dei limiti” della vita disabile.
I piccoli con cui don Renato ha condiviso la sua esistenza, chiedevano –ribadiva- l’impegno e l’investimento della Chiesa, attraverso un rinnovato approccio che superasse il pietismo e l’accettazione passiva del male per renderli finalmente protagonisti. Occorreva mettere a frutto i contributi del Concilio e tutta la sua vasta esperienza nella catechesi per operare soluzioni nuove ed incisive. Un’impresa in cui nessuno, con i suoi propri carismi, poteva tirarsi indietro. La consapevolezza di seguire la via giusta lo spingeva a indicare a ciascuno la sua missione personale, a rinforzare i “non puoi, ma devi”, l’invito a fare subito e senza indugi. Celebre il suo “per ieri!” a chi, ingenuamente, chiedeva una scadenza. Il successo, una volta seguite le sue indicazioni, non era garantito e di sicuro il primo tentativo non era quello riuscito.
Ma alla radice del suo agire c’era soprattutto una fede tenace, alimentata da una vita di preghiera profonda e continuativa anche nell’azione operosa. L’Eucarestia era il centro di tutto: il momento di sintesi per eccellenza. Nella messa tutta la vita del centro era coinvolta, tutte le storie, le lacrime e le gioie dei ragazzi e delle loro famiglie. Per i singoli e le famiglie Don Renato aveva un’attenzione speciale, mai pietistica o meramente assistenziale, ma sollecita all’azione battagliera e coraggiosa, finalizzata a ottenere riconoscimenti, sostegno, dalla semplice disponibilità all’ascolto all’impegno pratico per l’acquisto di uno scaldabagno. Con i ragazzi era sempre in attesa dell’evento profetico, del segno con cui interpretare la realtà, dell’insegnamento con cui lasciarsi catechizzare e istruire.
Si potrebbe aggiungere ancora molto, ma a questo punto, preferisco sterzare il discorso verso formulazioni a lui più congeniali. Don Renato mi perdonerà se gli faccio un po’ il verso (non escludo tirate di piedi e bacchettate nel sonno), ma mi sembrava il modo migliore per raccontarlo, intrecciando le immagini con alcune sue citazioni in una sorta di cartellone catechistico.
Maria ci educa al sì che rivoluziona la nostra esistenza! Pronunciare il proprio sì al Signore nel servizio ai fratelli più piccoli spalanca la vita! La disponibilità al volontariato “è la svolta per uscire da te e ritrovarti più ricco, perdendoti e più capace di non disperdere la tua vita, imparando a donarla”. Così, nella città del consumo e della marginalità, fiorisce un giardino. Qui la vita consegnata al Signore nel servizio si apre allo stupore dell’incontro. Così nasce il canto e la creatività, ci si apre alla responsabilità e all’impegno che chiede ogni vocazione. Qui nasce la bellezza che attrae e chiama alla conversione.
Nella “notte oscura” della disabilità, c’è il peso del limite, l’intermittenza o la discontinuità comunicativa, il mistero del dolore, ma anche la via privilegiata per l’unione con Dio. “Come la croce è il momento culminante dell’azione di Cristo, anche l’handicap, vissuto come Croce, può diventare una fonte di crescita dell’umanità”. Guidare i piccoli all’incontro con Dio significa aiutarli a raggiungere la pienezza della vita in Lui e renderli protagonisti dell’evangelizzazione. Nella fede, infatti, si fa sempre più trasparente il mistero che è in loro.
Nel Santo Volto di Manoppello, tanto caro a Don Renato, si vedono, in trasparenza, i segni della passione che ripetono quelli sulla Sindone. Nelle ferite di Cristo si riconoscono le ferite che guastano l’uomo nella disabilità del corpo come in quella del cuore. Ma le ferite si ricompongono nel volto del Vivente che pacifica con lo sguardo sereno e pieno di amore.
“Il luogo dell’handicap è quello che permette di sognare. La creatività, la novità e la potenza resurrezionale che agita in Cristo la storia dell’uomo contraddistinguono tutto ciò che è o si agita intorno all’handicap”. Molto è stato fatto, la strada spianata, purché l’azione si fondi nella contemplazione. Don Renato l’aveva fatto scrivere sul retro di questo volto, donato in regalo dai ragazzi del centro: “guardandolo cresce l’amore”.
Salato come una sardina, sulla spiaggia di Marina di
Massa Don Renato puntava meditabondo il montare delle onde. Oggi lo voglio
immaginare come sardina celeste, guizzante tra branchi di santi e ragazzi che
l’hanno preceduto, mentre punta dritto verso quel Volto che è abisso d’amore e di
creatività infinita.
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