A volte non era facile strapparle il sorriso. Ma proprio per questo era così bello e significativo, perché era timida, perché così - anche senza parole- chiedeva rispetto e un ascolto non distratto. Era bello il suo sorriso appena accennato, perché era il segno che insieme al suo cuore si apriva quello di chi le stava davanti. Non è questo un insegnamento stupendo?
L’ha sempre accompagnato la mamma, in silenzio, con pazienza, con l’amore senza misura che non cede neppure di fronte ai momenti più neri. Accanto a lei le mamme dei suoi amici e che più di ogni altro possono comprendere la verità di quello che ha sperimentato con lei. Non erano sole, perché intorno a lei, e con particolare evidenza in questi mesi, si sono stretti i suoi amici di ogni giorno con preghiere semplici e preziose, con il ricordo continuo e fiducioso. E accanto a loro tutti i dipendenti dell’AIAS di Pistoia, da chi guida il suo “pulmino” ai terapisti e ai medici che l’hanno aiutata e accompagnata ogni giorno. E poi i volontari. Pure nel dolore di questo momento è bello ricordare il modo con cui si sono fatti vicini all’Alessandra e alla sua mamma quando finiva il servizio e proseguiva l’amicizia, quando non poteva più l’assistenza, ma arrivava la dedizione e l’affetto. Questo è l’AIAS che conosco, dove Alessandra ha vissuto nell’ordinario e nello straordinario, nella riabilitazione e nella festa, nel buio e nella fede. Questo è l’AIAS che francamente non recupero nei giornali e nei titoli sulle locandine di questi giorni.
Qualche mese fa, in un momento di grande pena, all’ospedale dopo un’ennesima ricaduta, mi sorprese la secca domanda dell’Alessandra: “Che sei venuto a fare qui?”. Quanto mi ha insegnato quella domanda! E quanto deve meditarla chi intende impegnarsi per il bene dell’AIAS!
L’ultima volta che ti ho vista hai aperto e alzato la mano con gioia in un saluto silenzioso: un “ciao” così bello e luminoso che con quella domanda mi voglio tenere stretto stretto nella mente e nel cuore.
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