Cari amici, vi segnalo una bella testimonianza su Giovanni Paolo II. Spero che ci serva anche a custodire il ricordo della messa del 2 aprile. Sabato pomeriggio, infatti, insieme con il vescovo abbiamo vissuto un momento speciale nella Cappellina dell'AIAS, una grande consolazione in un periodo travagliato..
Dove sta il centro del mondo
di Konrad Krajewski
(...)
Ogni giorno celebro l'Eucaristia nelle Grotte Vaticane. Osservo come i dipendenti della basilica e tutti coloro che si recano al lavoro nei diversi dicasteri e uffici del Vaticano, i gendarmi, i giardinieri, gli autisti, cominciano la giornata con un momento di preghiera presso la tomba di Giovanni Paolo II: toccano la lapide e gli mandano un bacio. È così tutte le mattine.
Dal 2000 il Papa aveva cominciato a indebolirsi sempre di più. Aveva grande difficoltà nel camminare. Preparando il grande Giubileo con l'arcivescovo Piero Marini ci auguravamo che almeno potesse aprire la porta santa. Era quasi impossibile pensare al futuro.
Mentre mi trovavo sulle montagne polacche, una volta ho sentito questa affermazione: "Ancora non ci conosciamo, perché non abbiamo sofferto insieme". Con monsignor Marini abbiamo partecipato per cinque lunghi anni alle sofferenze del Papa, al suo eroico combattimento con se stesso per sopportare la sofferenza. Mi vengono in mente le parole del salmo 51: "Purificami con issopo e sarò mondato", che si possono intendere anche così: "Toccami con la sofferenza e sarò puro".
Essere con Giovanni Paolo II voleva dire vivere nel Vangelo, essere dentro il Vangelo.
Negli ultimi anni del servizio accanto a lui mi sono reso conto che la bellezza è sempre legata alla sofferenza. Non si può toccare Gesù senza toccare la croce: il Pontefice era così provato, si può dire martoriato dalla sofferenza, ma così estremamente bello, in quanto con gioia ha offerto tutto ciò che ha ricevuto da Dio e con gioia ha restituito a Dio tutto ciò che da Lui ha avuto. La santità infatti - come diceva Madre Teresa di Calcutta - non significa soltanto che noi offriamo tutto a Dio, ma anche che Dio prende da noi tutto quello che ci ha dato.
L'atleta che camminava e sciava sulle montagne ora aveva smesso di camminare; l'attore aveva perso la voce. A poco a poco gli era stato tolto tutto.
Prima di cominciare le esequie, monsignor Dziwisz e monsignor Marini hanno coperto il volto del Papa con un panno di seta, un simbolo dal significato molto profondo: tutta la sua vita è stata coperta e nascosta in Dio. Mentre compivano questo gesto, stavo accanto alla bara e tenevo in mano l'Evangeliario, un altro segno forte. Giovanni Paolo II non si vergognava del Vangelo. Viveva secondo il Vangelo. Scioglieva secondo il Vangelo tutti i problemi del mondo e della Chiesa. Secondo il Vangelo ha costruito tutta la sua vita interiore ed esteriore.
Il mistero di Giovanni Paolo II, cioè la sua bellezza, si esprime molto bene attraverso la preghiera di Papa Clemente XI che si trovava negli antichi breviari: "Voglio tutto ciò che tu vuoi, lo voglio perché tu lo vuoi, lo voglio come e quando lo vuoi tu". Chi pronuncia queste parole con il cuore diventa come Gesù che, umile, si nasconde nell'ostia e si offre per essere consumato. Chi fa proprie queste parole comincia a vivere con lo spirito di adorazione del Santissimo Sacramento.
Seguendo il Pontefice nei viaggi apostolici, durante le lunghe trasvolate, mi domandavo spesso: dove sta il centro del mondo? Tredici giorni dopo l'elezione, con alcuni suoi collaboratori, il Papa si recò vicino Roma, alla Mentorella, dove c'è il santuario della Madre delle Grazie. Domandò ai suoi compagni di viaggio: "Cosa è più importante per il Papa nella sua vita, nel suo lavoro?". Gli suggerirono: "Forse l'unità dei cristiani, la pace nel Medio Oriente, la distruzione della cortina di ferro...?". Ma egli rispose: "Per il Papa la cosa più importante è la preghiera".
Nel mio Paese c'è questo detto: "Il re è nudo davanti agli occhi dei suoi servi". Quanto più cominciavamo a conoscere Giovanni Paolo II, tanto più eravamo convinti della sua santità, la vedevamo in ogni momento della sua vita. Egli non oscurava Dio.
Se volessi indicare cosa è più importante per la vita sacerdotale e per ciascuno di noi, guardando a lui potrei dire: non coprire o offuscare Dio con se stesso, ma, al contrario, mostrarlo e diventare il segno visibile della sua presenza. Dio nessuno lo ha visto, ma Giovanni Paolo II lo ha reso visibile attraverso la sua vita.
Quando pregava, ho avuto l'impressione che si gettasse ai piedi di Gesù. Quando pregava, sul suo viso era visibile il totale affidamento a Dio. Era veramente trasparente; era, per usare un'immagine poetica, come l'arcobaleno che lega il cielo alla terra e la sua anima correva sulle scale dalla terra al cielo. Torno ora alla domanda: "Dove sta il centro del mondo?".
Pian piano ho cominciato a rendermi conto che il centro del mondo era sempre dove io mi trovavo con il Papa: non perché stavo con Giovanni Paolo II, ma perché lui ovunque egli si trovasse, pregava.
Ho capito che il centro del mondo è dove io prego, dove io sono insieme a Dio, nella più intima unione che c'è: la preghiera. Sono al centro del mondo quando cammino alla presenza di Dio, quando "in lui infatti vivo, mi muovo ed esisto" (cfr. Atti degli apostoli, 17, 28).
Quando celebro o partecipo all'Eucaristia sono al centro del mondo; quando confesso e mi confesso, nel confessionale c'è il centro del mondo; il posto e il tempo della mia preghiera costituiscono il centro del mondo perché, quando prego, Dio respira dentro di me.
Il Papa ha permesso a Dio di respirare attraverso di lui: ogni giorno passava tanto tempo davanti al tabernacolo. Il Santissimo Sacramento era il sole che illuminava la sua vita. E lui davanti a quel sole andava a riscaldarsi con la luce di Dio.
La vita di Giovanni Paolo II era intessuta di preghiera. Aveva sempre tra le dita la coroncina del rosario, con la quale si rivolgeva a Maria confermando il suo Totus tuus. Una volta, dopo l'infortunio del 1991, il cardinale Deskur portò al Papa un contenitore di acqua santa da Lourdes e gli disse: "Santità, quando laverà la parte dolente, dovrà recitare l'Ave Maria". Giovanni Paolo II rispose: "Caro Cardinale, io dico sempre l'Ave Maria".
Il mio compito nell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche consiste nel curare, sotto la guida del maestro, le celebrazioni pontificie e non di scrivere articoli o preparare conferenze. È stato così per tredici anni. Dopo il 2 aprile 2005, quando qualcuno mi chiede di dare testimonianza su Giovanni Paolo II, rispondo spesso: "Sì, con grande gioia!". E invito a prendere parte ogni giovedì alla messa davanti alla sua tomba nelle Grotte Vaticane. Così come invito a recarsi nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, dove ogni pomeriggio si recita la coroncina della Divina Misericordia seguita dalla Via Crucis. Ogni giovedì sera si incontrano nel mio appartamento sacerdoti che lavorano o studiano a Roma, suore e laici. Insieme recitiamo i vespri, preghiamo e ci sediamo alla tavola comune. Radunarsi in preghiera e stare insieme per ritrovarsi al centro del mondo: ho imparato questo da Giovanni Paolo II.
Non mi meraviglia che il Papa sia beatificato nella domenica della Divina Misericordia, anche se è una sorpresa della Provvidenza il fatto che quest'anno coincida con il 1° maggio. Così quel giorno si parlerà principalmente di santità. Benedetto XVI e Giovanni Paolo II trasformeranno quella ricorrenza in un evento religioso inedito nella storia: una processione di maggio verso la santità e la preghiera.
(©L'Osservatore Romano 2 aprile 2011)
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