domenica 20 giugno 2010
Aprendo il giornale, ieri, si trovava una notizia terribile. Passata sotto silenzio sui grandi mezzi di informazione, non deve però sfuggire alla realtà dell’AIAS.
Il titolo recitava così: «BARI: disabile muore di stenti accanto al cadavere della madre». Una storia semplice, senza colpi di scena: l’anziana madre si accascia, dieci giorni fa circa, per un infarto. Il figlio – non autosufficiente, cieco e sordo – rimane solo in casa e muore, dopo qualche giorno, di stenti. Scopre tutto ieri la proprietaria dell’alloggio, che lo aveva concesso in comodato d’uso all’anziana, che si trovava anche in precarie condizioni economiche.
E’ stato il classico “cazzotto nello stomaco”, almeno per me. Perché in questa vicenda si ritrova tutto quello contro il quale l’AIAS si batte con passione: lotta alla solitudine dei ragazzi; lotta per i genitori che si ritrovano anziani e soli con i figli da accudire; lotta alla precarietà di una vita a contatto con la disabilità, che richiede uno sforzo umano particolarmente intenso; lotta ad una visione della disabilità come “pura assistenza medica” anziché come contatto umano, denso di calore e di attenzione; lotta alla disabilità trasparente o evanescente, che si sottrae agli occhi dei pubblici poteri e dei quartieri, delle città, dei mass media.
Quella madre e quel figlio, così geograficamente lontani da noi, dal cielo ci guardano.
E ci chiedono di non fermare un impegno che è cura e che è cultura. E’ cura perché vengono richiesti, nei modi più vari ed ogni giorno, aiuti pratici, concreti, operativi; ma è anche cultura, perché nessuno possa dire di “non sapere” cosa significhi avere a che fare la disabilità; perché nessuno possa dire di “non averne fatto esperienza”; perché nessun pubblico potere possa “dimenticarsi” della disabilità; perché a nessuno sia negata l’opportunità di un contatto, puro e genuino, con la “passione” di vivere, intesa sia come fatica ma anche come pienezza del dono gioioso della vita.
E mentre noi, a Pistoia, siamo affaccendati in statuti e regolamenti, assemblee e convocazioni, arrivano una madre ed un figlio – non i primi, non gli ultimi purtroppo – che, da lontano, ci interpellano e ci richiamano al senso di un impegno. Nella solitudine di un appartamento all’inizio dell’estate. Senza far rumore. Senza gesti eclatanti. Senza parole gridate. Ma con un “mandato” chiaro per ciascuno … che dovrebbe scuotere le coscienze e riportare alla dimensione giusta i diversi problemi.
Nella gioia del cielo, anche questa madre e questo figlio pregano anche per noi.
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Questo ci richiama a cosa il Signore ci ha chiamato. Fermiamo i nostri passi e pensiamo se stiamo lavorando e impiegando le nostre energie per la vigna del Signore, oppure se per il nostro orgoglio e per seguire la Legge - prima di tutto - non si stia andando a braccetto con qualcuno che non ha le ali, ma una coda lunga, che ci sta portando il più lontano possibile da Dio. E dai fratelli.
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