Mentre
il papa sorvolava Roma nella commozione generale il professore apriva il
seminario biblico con una barzelletta. Pronunciata in inglese da un tedesco
assumeva toni piuttosto stranianti, ma la riciclo comunque perché, dopotutto,
mi sembrava azzeccata.
Karl Rahner,
Joseph Ratzinger ed Hans Küng
(per chi non lo sapesse Rahner, gesuita, è stato uno dei più importanti teologi
del ‘900, Küng,
teologo anche lui e coetaneo di Ratzinger – lo chiamò ad insegnare a Tubinga - ha
poi molto criticato la chiesa Cattolica fino a proporre tesi non ortodosse) vanno
in pellegrinaggio in Terra Santa. Giunti in Galilea, davanti al Lago di
Tiberiade Rahner propone audacemente: “Forza, facciamo come Gesù! Camminiamo
sulle acque!”. Dopo qualche esitazione Rahner è invitato a provare per primo.
Parte e.. attraversa il lago avanti e indietro! Poi tocca a Ratzinger che senza
troppa preoccupazione parte e attraversa il lago avanti e indietro. Alla fine
tocca a Küng.
Parte e dopo qualche passo ..affonda nell’acqua! Gli altri due restano subito
stupiti, poi Rahner rivolgendosi a Ratzinger dice: “ma come? Non gli avevi
detto dov’erano le pietre sotto il pelo dell’acqua?” e Ratzinger: “Quali
pietre?”
“Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una
barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche
nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così
sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo
noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri
grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa: anche all’interno di essa, Adamo
cade sempre di nuovo”.
Le
cadute di Adamo non sono mancate: alcune, più recenti, particolarmente vistose.
L’ottobre scorso, quando una grande fiaccolata ha ricordato il 50° anniversario
dell’apertura del Concilio Benedetto è tornato sulla stessa immagine:
“Abbiamo visto che la
fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta
navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e
qualche volta abbiamo pensato: «il Signore dorme e ci ha dimenticato .. Abbiamo
visto che il Signore non ci dimentica... Cristo vive, è con noi anche oggi, e
possiamo essere felici anche oggi perché la sua bontà non si spegne; è forte
anche oggi!”.
Anche
nel 2010 quando chiudeva l’Anno dedicato al Sacerdozio il buio e la tempesta
avevano agitato le acque:
“proprio in questo anno di gioia per il
sacramento del sacerdozio, sono venuti alla luce i peccati di sacerdoti .. Se
l’Anno
Sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della
nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende.
Ma si trattava per noi proprio del contrario: il diventare grati per il dono di
Dio, dono che si nasconde “in vasi di creta” e che sempre di nuovo, attraverso
tutta la debolezza umana, rende concreto in questo mondo il suo amore” (11 giugno 2010).
L’ultima udienza di Papa Benedetto ha fatto sintesi,
attraverso parole semplici e commosse, di due aspetti chiave del pontificato: il primato di Dio e la riflessione sulla
Chiesa.
Oggi possiamo
dirlo senza timore di smentita: Pietro ha confermato i fratelli, indicando con
insistenza il primato di Dio. Nella Chiesa - lo ha ribadito spesso- non è
possibile adottare la logica del potere o del successo. Soltanto nella logica del
servizio, del “cuore che vede”, possiamo
realizzare la vocazione cui ci chiama il Signore. E’ Lui il protagonista e se è
Lui che chiama donerà anche la forza di compiere ciò che chiede:
Piazza San Pietro durante l'ultima udienza di Papa Benedetto XVI |
“Quando, il 19 aprile di
quasi otto anni fa, ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto la
ferma certezza che mi ha sempre accompagnato: questa certezza della vita della
Chiesa dalla Parola di Dio. In quel momento, come ho già espresso più volte, le
parole che sono risuonate nel mio cuore sono state: Signore, perché mi chiedi
questo e che cosa mi chiedi? E’ un peso grande quello che mi poni sulle spalle,
ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi
guiderai, anche con tutte le mie debolezze. E otto anni dopo posso dire che il
Signore mi ha guidato, mi è stato vicino, ho potuto percepire quotidianamente
la sua presenza. E’ stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto
momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come
san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha
donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata
abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il
vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava
dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre
saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il
Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche
attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è
una certezza, che nulla può offuscare”.
Il
primato di Dio non si traduce in cieca sottomissione. Si tratta, piuttosto, di
entrare in un rapporto intimo e profondo con Dio, lasciarsi catturare da una
relazione originaria, che realizza l’uomo e lo rende felice, fin quasi a
renderlo semplice e fiducioso come un bambino. Nella piazza gremita per l’ultima
udienza la commozione era palpabile. Il papa teologo si è mostrato ancora di
più il padre, anzi, il nonno che apre il cuore ai nipoti:
"Vorrei invitare tutti a
rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia
di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci
permette di camminare ogni giorno, anche nella fatica. Vorrei che ognuno si
sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha
mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di
essere cristiano In una bella
preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio,
e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano…»”.
E’
la preghiera che ci ripeteva la zia quando, piccini, ci insegnava a pregare.
A Madrid,
nella memorabile veglia travagliata da vento e acquazzoni, il Papa indicava ai
giovani l’essenziale, il rapporto con Dio che cambia e realizza pienamente ogni
esistenza:
“Sì, cari
amici, Dio ci ama. Questa è la grande verità della nostra vita e che dà senso a
tutto il resto. Non siamo frutto del caso o dell’irrazionalità, ma all’origine
della nostra esistenza c’è un progetto d’amore di Dio. Rimanere nel suo amore
significa quindi vivere radicati nella fede, perché la fede non è la semplice
accettazione di alcune verità astratte, bensì una relazione intima con Cristo ..
Se rimarrete nell’amore di Cristo, radicati nella fede, incontrerete, anche in
mezzo a contrarietà e sofferenze, la fonte della gioia e dell’allegria. La fede
non si oppone ai vostri ideali più alti, al contrario, li eleva e li
perfeziona. Cari giovani, non conformatevi con qualcosa che sia meno della
Verità e dell’Amore, non conformatevi con qualcuno che sia meno di Cristo”.
Chi
mette Dio al primo posto sa di non amputare l’umano. La ragione stessa,
illuminata dalla verità si affaccia su orizzonti infiniti. Un altro grande
capitolo del pontificato di Benedetto è l’impegno profuso a dimostrare la
ragionevolezza del Cristianesimo ed a rilanciare il dialogo con il mondo della
cultura in un tempo di crisi e ripiegamento. Una preoccupazione particolarmente
legata al mondo occidentale e alla cultura di riferimento del papa, ma cruciale
per il mondo intero. Nell’omelia per l’apertura dell’anno della fede Benedetto
XVI tornava a parlare della crisi del nostro tempo. “In questi decenni è
avanzata una «desertificazione» spirituale”: l’antidoto più efficace è “La fede
vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo”. Il primato
di Dio si traduce in un’espressione ormai celebre del suo pontificato:
“Quaerere Deum – cercare Dio e lasciarsi trovare da
Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura
meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica
la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle
sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui
conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura
dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche
oggi il fondamento di ogni vera cultura” (Incontro con il mondo della
cultura al Collège des Bernardins, Parigi, 12 settembre 2008).
Nella sua Parola Dio si è
comunicato all’uomo, si lascia trovare. La
sua esortazione post-sinodale Verbum Domini, ad esempio, dovrà essere
ancora a lungo meditata. Non è però il momento di sintesi esaustive sul
magistero di Benedetto, mi accontento qui di qualche citazione che ricordo in
modo speciale e di segnalare le parole della sua ultima udienza:
“la Parola di verità del
Vangelo è la forza della Chiesa, è la sua vita. Il Vangelo purifica e rinnova,
porta frutto, dovunque la comunità dei credenti lo ascolta e accoglie la grazia
di Dio nella verità e nella carità. Questa è la mia fiducia, questa è la mia
gioia”.
Il riferimento al primato
di Dio assumeva toni programmatici fin dalla prima omelia, per l’inizio del
pontificato, il 24 aprile 2005:
“E’ proprio così – nella
missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli
uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita,
verso la luce di Dio. E’ proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli
uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo
in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il
prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di
un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è
necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal
Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare
agli altri l’amicizia con lui. Il compito del pastore, del pescatore di uomini
può spesso apparire faticoso. Ma è bello e grande, perché in definitiva è un
servizio alla gioia, alla gioia di Dio che vuol fare il suo ingresso nel mondo”.
Ma il passaggio più toccante
dell’ultima udienza propone una riflessione sul mistero della Chiesa che
ribalta ogni chiacchiera sulle logiche di potere e sgombra il campo dalle
insistenti accuse sui complotti e le dinamiche da apparato della Chiesa
visibile.
“E’ vero che ricevo lettere
dai grandi del mondo – dai Capi di Stato, dai Capi religiosi, dai
rappresentanti del mondo della cultura eccetera. Ma ricevo anche moltissime
lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi
fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù,
nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un
principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle
o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso.
Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione,
un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione
di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti.
Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la
forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui
tanti parlano del suo declino. Ma vediamo come la Chiesa è viva oggi!”
A
Cuatro Vientos, durante la veglia con i Giovani di cui sopra, Benedetto parlava
ancora della Chiesa:
“Non
si può seguire Gesù da soli. Chi cede alla tentazione di andare «per conto suo»
o di vivere la fede secondo la mentalità individualista, che predomina nella
società, corre il rischio di non incontrare mai Gesù Cristo, o di finire
seguendo un’immagine falsa di Lui.
Aver fede significa
appoggiarsi sulla fede dei tuoi fratelli, e che la tua fede serva allo stesso
modo da appoggio per quella degli altri. Vi chiedo, cari amici, di amare la
Chiesa, che vi ha generati alla fede, che vi ha aiutato a conoscere meglio
Cristo, che vi ha fatto scoprire la bellezza del suo amore”.
L’anno
precedente, ad Erfurt, (24
settembre 2011) in occasione del suo ultimo viaggio
in Germania lo aveva già espresso con chiarezza:
“La fede è
sempre anche essenzialmente un credere insieme con gli altri. Nessuno può
credere da solo...Il fatto di poter credere lo devo innanzitutto a Dio che si
rivolge a me e, per così dire, “accende” la mia fede. Ma molto concretamente
devo la mia fede a coloro che mi sono vicini e che hanno creduto prima di me e
credono insieme con me. Questo grande “con”, senza il quale non può esserci
alcuna fede personale, è la Chiesa”.
Il
noi della Chiesa è però accompagnato da testimoni speciali, i santi, gli amici
che ci hanno preceduto nella fede tracciando una scia luminosa. Forse non è un
caso che Benedetto abbia dedicato le sue udienze ai santi – dagli apostoli, ai
padri della chiesa, ai santi del nostro tempo- e alla preghiera dei Salmi.
“Si può
criticare molto la Chiesa . Noi lo sappiamo, -diceva rivolgendosi ai giovani durante la Messa
conclusiva della GMG di Colonia - e il Signore stesso ce l'ha detto: essa è
una rete con dei pesci buoni e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la
zizzania. Papa Giovanni
Paolo II, che nei tanti beati e santi ci ha mostrato
il volto vero della Chiesa, ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso
della storia, a motivo dell'agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto
di male. In tal modo fa vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta
ad entrare con tutti i nostri difetti e debolezze nella processione dei santi,
che con i Magi dell'Oriente ha preso il suo inizio. In fondo, è consolante il
fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti
possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha
chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche
allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno
spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le
nazioni”.
La grande famiglia dei santi chiama all’appello. Aderire al
Signore e seguirlo con il dono di sé non ci estrania dal mondo, ma ci rende
capaci di trasformarlo. La via che conduce alla trasformazione deve passare
attraverso le purificazioni della preghiera, vedere in essa il centro
gravitazionale della nostra esistenza. Benedetto XVI ha ribadito con insistenza,
soprattutto con l’esempio, il valore della liturgia e la sensibilità per il
sacro dettato dalla presenza. Ma se sorge la tentazione di parlare di devozione
esteriore o si glorifica una tradizione si percorrono piste sbagliate e
superficiali. Il primato è di Dio ed esige una conversione profonda e sincera:
“L’amore di Dio può effondere la sua forza solo quando gli permettiamo di
cambiarci dal di dentro. Noi dobbiamo permettergli di penetrare nella dura
crosta della nostra indifferenza, della nostra stanchezza spirituale, del nostro
cieco conformismo allo spirito di questo nostro tempo. Solo allora possiamo
permettergli di accendere la nostra immaginazione e plasmare i nostri desideri
più profondi. Ecco perché la preghiera è così importante: la preghiera
quotidiana, quella privata nella quiete dei nostri cuori e davanti al
Santissimo Sacramento e la preghiera liturgica nel cuore della Chiesa. Essa è
pura ricettività della grazia di Dio, amore in azione, comunione con lo Spirito
che dimora in noi e ci conduce, attraverso Gesù, nella Chiesa, al nostro Padre
celeste. Nella potenza del suo Spirito, Gesù è sempre presente nei nostri
cuori, aspettando quietamente che ci disponiamo nel silenzio accanto a Lui per
sentire la sua voce, restare nel suo amore e ricevere la “forza che proviene dall’alto”,
una forza che ci abilita ad essere sale e luce per il nostro mondo” (Veglia con i giovani, Gmg
di Sydney, 2008).
La preghiera non isola, ma apre ad una vita pienamente immersa
nella comunione della Chiesa. Per questo la scelta del Papa non si può
interpretare come una resa:
“Il “sempre” è anche un “per sempre” - non
c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio
attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una
vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la
croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la
potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della
preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il
cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha
mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente
all’opera di Dio”.
La rinuncia al ministero petrino,
pronunciata l’11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, pone sotto il
sigillo di Maria la decisione del papa, nato il 16 aprile, giorno in cui si
celebra Santa Bernadette Soubirous.
“Nel giorno del
mio compleanno e del mio Battesimo, il 16 aprile, -precisava il Papa nell’omelia
per la Messa in occasione del suo 85° compleanno- la liturgia della Chiesa ha posto tre segnavia che mi indicano dove
porta la strada e che mi aiutano a trovarla. In primo luogo, c’è la memoria di
santa Bernadette Soubirous, la veggente di Lourdes; poi, c’è uno dei Santi più
particolari della storia della Chiesa, Benedetto Giuseppe Labre; e poi,
soprattutto, c’è il fatto che questo giorno è sempre immerso nel Mistero
Pasquale, nel Mistero della Croce e della Risurrezione, e nell’anno della mia
nascita è stato espresso in modo particolare: era il Sabato Santo, il giorno
del silenzio di Dio, dell’apparente assenza, della morte di Dio, ma anche il
giorno nel quale si annunciava la Risurrezione”.
Può così chiudere questa piccola antologia
un passaggio dell’omelia pronunciata il 14 settembre 2008 a Lourdes:
“è significativo che, al
momento della prima apparizione a Bernadette, Maria introduca il suo incontro
col segno della Croce. Più che un semplice segno, è un’iniziazione ai misteri
della fede che Bernadette riceve da Maria. Il segno della Croce è in qualche
modo la sintesi della nostra fede, perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci
dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre
debolezze e dei nostri peccati. La potenza dell’amore è più forte del male che
ci minaccia. E’ questo mistero dell’universalità dell’amore di Dio per gli
uomini che Maria è venuta a rivelare qui, a Lourdes. Essa invita tutti gli
uomini di buona volontà, tutti coloro che soffrono nel cuore o nel corpo, ad
alzare gli occhi verso la Croce di Gesù per trovarvi la sorgente della vita, la
sorgente della salvezza”.
Gli alunni del Collegio Capranica salutano il papa che lascia Roma |