
- Casa di Simone e di Fiammetta Del Bino via D'Aragona - Bottegone
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- Casa di Laura Corrieri e Bruno via Busoni 1 - Pistoia
Ci si avvicina a Natale e i giorni trascorsi a La Verna assieme a Irene hanno portato spunti per riflessioni legate a questo evento. Riflessioni che vorrei condividere con voi.
Innanzitutto, come immagino sappiate, il luogo della nascita è una mangiatoia. Io ho sempre pensato che volesse simboleggiare semplicità e povertà, in realtà mi hanno fatto notare che c'è dell'altro. Gesù nasce a Betlemme, nome che voul dire "casa del pane", in una mangiatoia poiché egli sarà pane di vita. Nasce in una mangiatoia perché il suo destino è quello di essere mangiato. Incredibile, ma io non ci avevo mai pensato e probabilmente non ci sarei mai arrivato se non me l'avesse fatto notare una gentile suora. Eppure si sa che Dio non spreca le sue forze e nulla avviene per caso.
Da qui segue allora un altro ragionamento: queste "Dioincidenze" (termine noto a chi è venuto con me in Etiopia) ci sono nella vita di tutti i giorni? La risposta ovviamente è sì, basta avere occhi per poterle vedere (dice il Piccolo Principe: "Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi").
Non c'è dubbio che viviamo in un periodo di grandi grazie infatti molti sono i Santi moderni che ci hanno lasciato traccia di un cammino da seguire. Dobbiamo imparare da loro per mettere Dio al centro della nostra vita.
Un altro spunto, ce l'ha dato un ragazzo, dicendoci che lui nel presepe, oltre alle varie statuine, ci mette anche il crocifisso. Per lui il Natale rappresenta l'inizio della Pasqua.
Infine il Natale è un periodo molto rumoroso, c'è traffico e la gente si affolla dentro i negozi, per questo è importante riscoprire il valore del silenzio. Silenzio in noi e negli altri.
Stamattina alla mensa dei poveri di Torino c'è stato un po' di trambusto, poiché, complice il freddo, latte e thé sono finiti. Potete immaginare che l'umore di chi vive per strada, dopo vedersi rifutata una tazza di latte, non possa essere dei migliori. In tutto il trambusto però chi ha avuto la peggio è chi è stato silenzioso nel suo tavolo. Alla fine suor Teresa ce l'ha fatto notare: i prepotenti hanno avuto quello che volevano, gli altri sono rimasti a bocca asciutta perché non ci siamo accorti di loro che invece, ultimi tra gli ultimi, avrebbero dovuti essere al centro della nostra attenzione. Vi invito quindi in questi giorni a cercare quelle persone che, in un modo o in un altro, sono silenziose, invisibili. E con ciò naturalmente non mi riferisco solo ai barboni: ognuno ha modo di esprimere il proprio silenzio.
Andrea
Il coraggio della complessità
Era la notte di Pasqua 2001. A Lourdes faceva davvero molto freddo. I più fortunati erano riusciti a trovare posto in Chiesa, ma noi, giunti in ritardo, assistemmo alla messa sulla spianata. Eravamo tantissimi, seduti sotto pile e pile di coperte da campo: con il buio e il freddo che aumentavano. A un certo punto, però, diffondendosi come un'onda, un passaparola iniziò a scaldarci tutti. Jean Vanier non era in chiesa: stava seguendo la celebrazione all'addiaccio come noi. In fondo, non poteva essere altrimenti: prima ancora che le parole, sono stati i gesti di quest'uomo ad aver dato senso e bellezza all'esistenza di milioni di persone sparse nel mondo.
La sua vita è caratterizzata da brusche inversioni di rotta. Mi sembra, però, che (sia pure in forme diverse), dalla scelta che lei compì a 12 anni nel 1942 entrando in Marina a ciò che ha scritto dopo l'11 settembre 2001 ritorni sempre il profondo bisogno di costruire la libertà e la pace.
Se dovessi riassumere il suo percorso dall'agosto del 1964 a oggi, sceglierei una frase di Etty Hillesum: "Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio. Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di te".
La sua vita è dedicata alla disabilità mentale, ma il suo messaggio sul valore della diversità vale per ogni differenza: a proposito del massacro in Ruanda, lei ha scritto "uccidere l'altro perché è diverso, significa voler uccidere quella parte di tenebre che ciascuno ha dentro di sé".
Così, abbiamo perso la consapevolezza della nostra comune identità di figli di Dio. Ciascuno di noi è chiamato a essere figlio di Dio. Invece ci creiamo un'identità nazionale o religiosa, e disprezziamo gli altri, li guardiamo dall'alto in basso, non vediamo in loro nulla di buono.
Ha scritto osservazioni molto interessanti sul delirio di onnipotenza dell'uomo di oggi. È un punto su cui ritorna anche Benedetto XVI nell'enciclica "Caritas in veritate", ricordando come la missione della Chiesa sia proprio "una missione da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione".
Usiamo la tecnologia per aiutare le persone a diventare più umane, oppure la usiamo per avere più potere?
Quindi, se usiamo la tecnologia per il potere, se la usiamo per schiacciare le persone, allora noi distruggiamo ciò che è umano. Se invece la usiamo per aiutare le persone a diventare più umane, allora davvero la utilizziamo per crescere nel rispetto e nell'amore per gli altri, e, in particolar modo, per chi è debole e ferito, per chi è diverso. Perché ogni essere umano è prezioso, a prescindere da quelle che siano le sue capacità o le sue incapacità, la sua fede o la sua cultura.
Li ascoltiamo, e sappiamo che non sappiamo cosa fare. È proprio questo il messaggio: voglio parlare con te, ti amo, ma non ho la soluzione per i tuoi dolori, voglio solo accompagnarti. È il segreto di Fede e Luce. Non diamo soluzioni, non abbiamo soluzioni: ma possiamo parlare con loro. È così che si sentiranno compresi, si sentiranno amati e preziosi. Lo ripeto sempre: il cuore della pedagogia dell'Arca è semplicemente quello di dire: sono felice vivendo con te, stando con te. È costruire relazioni che ci uniscono.
Doloroso è anche il rapporto tra la disabilità mentale e la medicina. Prescindendo dalle obiezioni (a volte esplicite, altre implicite) del perché-non-si-è-evitata-quella-nascita, molti medici tendono a fare il minimo indispensabile, a considerare il paziente disabile come un paziente di serie B sul quale vale poco la pena di perdere tempo. A volte è difficile far capire loro che un paziente disabile è un paziente e basta.
Il mondo vuole accettare le persone con disabilità solo se possono essere reinserite, se possono vivere da sole. Molti Stati e molte leggi li accettano solo se possono in qualche modo diventare "normali". Come tutti gli altri. È il rifiuto di accettare le persone semplicemente per quello che sono. Perché non esiste qualcosa come la normalità o l'anormalità: ogni persona è diversa. È fondamentale creare società in cui ciascuno sia visto e sia considerato importante.
Il cammino sembra farsi sempre più difficile man mano che la medicina e il diritto ci forniscono nuove possibilità per eliminare il disabile prima della nascita e per costruire il figlio perfetto. Già nel lontano 1988 lei scriveva che "le manipolazioni genetiche permettono di scegliere il bambino dei nostri sogni e dei nostri calcoli, invece di ricevere il bambino come un dono, nato dall'amore. Oggi, l'uomo e la donna corrono il rischio di essere programmati come dei computer".
Se non mancano le madri che abbandonano i figli disabili, il grande assente è stato e resta a tutt'oggi il padre: sembra quasi che i bimbi disabili siano stati concepiti miracolosamente senza intervento maschile.
Uno dei passaggi che più mi colpiscono del Vangelo è quello in cui Gesù dice: "Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi" (Giovanni, 21, 18).
Diciamo nei prossimi vent'anni!
(Ride) Ne avrò oltre 100! Dobbiamo scoprire la bellezza di ogni realtà. Se siamo nel dolore, dobbiamo cercare di capirne il mistero: questo impariamo all'Arca o in Fede e Luce. Imparare a scoprire che nella debolezza siamo chiamati ad amare e ad andare verso l'amore. C'è una bellissima frase che Giovanni Paolo II pronunciò in Vaticano nel gennaio 2004: le persone disabili possono diventare araldi di un mondo nuovo. Possono insegnarci la via verso l'amore e la solidarietà. È il mistero. Per le persone intrappolate nell'efficienza, tese a raggiungere la sommità della scala, è difficile scoprire il mistero dell'umiltà e della relazione.
Karol Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II |